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mercoledì 5 febbraio 2020
L'Unione Europea applicherà procedure più rigide per l'adesione
Le intenzioni francesi, relative all’introduzione di criteri più rigidi per l’ammissione all’Unione Europea, sembrano essere state accolte dalla Commissione Europea. Le perplessità di Parigi circa la mancanza di criteri sufficienti a garantire la condivisione degli ideali fondativi dell’Europa unita sono ampiamente condivisibili e dimostrabili dai casi di quei paesi che sono entrati a fare parte dell’Unione soltanto per convenienze economiche, senza condividerne il progetto e, sopratutto, gli oneri. Se il pensiero va al periodo tra il 2004 ed il 2011, con l’aumento dei membri dell’Unione da 15 a 28, occorre anche ricordare la storia del Regno Unito, che durante la sua permanenza ha goduto di condizioni ben più favorevoli degli altri membri e, nonostante ciò, non ha ritenuto conveniente rimanere all’interno dell’Unione, provocando una trattativa estenuante ancora ben lontana dal concludersi. Certamente i paesi che più hanno provocato la diffidenza frnacese, ma non solo, sono quelli del cosidetto patto di Visegrad, nazioni che appartenevano al blocco sovietico e che si sono dimostrate euroscettiche e poco inclini ai valori democratici. Questi paesi sono caratterizzati da una grande quantità di finanziamenti, che spesso costituisce la voce maggiore nei loro bilanci, a cui non corrisponde una volontà di farsi carico degli oneri che gravano sugli altri stati, come ad esempio la questione della redistribuzione migratoria, e non presentano standard di garanzia dei diritti civili e democratici sufficienti a giustificare la loro presenza a Bruxelles. Quella che si prevede di approvare è una normativa più rigida verso i paesi che richiedono l’ammissione all’Unione, con la possibilità di bloccare e sospendere i negoziati, senza una reale garanzia della presenza di un processo di riforme conforme ai requisiti richiesti da Bruxelles. Anche l’aiuto finanziario previsto prima dell’adesione potrà essere fermato, senza, tutttavia, intaccare la quota destinata alla società civile. In concreto, attualmente, i negoziati per l’adesione di Macedonia del Nord ed Albania potranno essere interrotti. L’obiettivo immediato, riconosciuto anche dalla Commissione Europea è quello di rendere più rigorso il processo di adesione dei paesi balcanici, che tutt’ora non presentano adeguate garanzie sull’applicazione e la tutela dei diritti civili e politici. Verosimilmente la richiesta di Bruxelles verterà proprio sul rispetto dei valori fondamentali dell’Unione, attraverso una riforma in senso maggiormente garantista del sistema democratico, ma anche la sicurezza di sistemi economici di mercato che siano sostenibili per la popolazione e l’allienamento con la politica estera comunitaria. Si comprende come questo sia un messaggio per gli stati euroscettici ed anche per i movimenti critici con l’Unione, che si sono sviluppati in senso sovranista proprio contrastare l’invedenza dele norme europee. L’atteggiamento francese è condivisibile sul piano del contrasto verso gli stati che comprimono al loro interno i diritti civili, ma dovrebbe essere integrato con norme ed azioni a favore dei diritti economici dei popoli europei, troppo spesso schiacciati dai vincoli di bilancio, che hanno provocato una riduzione delle condizioni qualitative della vita dei cittadini europei, con la percezione, troppo spesso diventata certezza, di uno spostamento dei redditi a favore delle finanza e dei ceti più ricchi, grazie all’incremento della diseguaglianza e dell’assenza di politiche redistributive. Rendere più difficile l’adesione all’Europa è solo il primo passo di un processo che deve essere completato con la possibilità di escludere gli stati che non accettano gli oneri e non garantiscono l’applicazione dei diritti fondamentali, ma che deve ricomprendere anche un cambiamento di atteggiamento e di politica della stessa Commissione europea. Senza questi passaggi la riforma voluta da Parigi appare monca e non può avere successo che vuole trovare.
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