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venerdì 27 marzo 2020
Sulla Germania la responsabilità del futuro dell'Europa
Per l’Unione Europea la ricerca di una strategia per affrontare in maniera compatta l’emergenza della pandemia dovrebbe essere una necessità, sia dal punto di vista sanitario, che rappresenta l’immediato, sia per quanto riguarda quello economico, che è anch’esso immediato, ma preoccupa di più per gli aspetti futuri. Dopo un primo periodo, dove la solidarietà europea è risultata assente, l’aumento del contagio che si è verificato anche nei paesi inizialmente poco colpiti, ha determinato la necessità di un coordinamento sovranazionale per l’elaborazione di un piano di investimenti per stimolare la crescita economica. A questo riguardo l’idea francese a favore della creazione di un centro per la gestione della crisi, dovrebbe essere vista come uno sviluppo interessante da seguire al più presto. Tuttavia la necessità immediata di liquidità ha spostato l’attenzione sulla questione della potenziale creazione di strumenti finanziari europei destinati alla gestione della crisi scatenata dalla pandemia. Nonostante la platea dei richiedenti si sia ampliata con l’aggiunta di paesi normalmente critici verso questi strumenti, come Lussemburgo, Irlanda, Belgio e Slovenia, che si sono sommati ad Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Grecia; l’opposizione di Germania ed Olanda, ma anche dell’Austria costituisce un grosso ostacolo per l’adozione di questi strumenti finanziari e quindi pone un inquietante interrogativo sul futuro dell’Unione Europea. Secondo alcuni analisti, la responsabilità decisione resta comunque alla Germania, che esercita il ruolo di azionista di maggioranza all’interno dell’Unione. La tradizionale avversione di Berlino, da sempre contraria al ricorso a strumenti finanziari i cui effetti ricadrebbero su tutti i membri, incontra ora due ordini di problemi. Il primo è di natura economica: imporre ancora una situazione simile a quella imposta ad Atene, comprimerebbe anche la capacità commerciale tedesca, finendo per provocare una ripercussione negativa sull’economia tedesca, peraltro già in sofferenza; il secondo è ancora più rilevante perché comprende l’assunzione di responsabilità del possibile fallimento concreto del sogno europeo in quanto tale. Questo perché uno strumento finanziario studiato come mezzo sopranazionale apre ad una prospettiva federalista: quello che dovrebbe essere la naturale conclusione del percorso europeo. Per contro il fallimento di questa soluzione, favorita soltanto dagli egoismi nazionali delle nazioni più ricche, aprirebbe ad una dissoluzione europea, che potrebbe anche andare incontro comprendere la fine dell’unione monetaria, l’unico vero collante presente al momento, che tanto ha favorito, dal punto di vista economico e finanziario proprio il paese tedesco. Senza un accesso privilegiato al mercato più ricco del mondo, per le merci tedesche sarebbe difficile contribuire al mantenimento del livello di crescita della Germania, su questo Berlino deve riflettere bene: è tempo di restituire qualcosa di quanto ha preso, fino dal tempo dell’unificazione tedesca, per arrivare al mantenimento attuale del proprio surplus economico.
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