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Politica Internazionale
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martedì 22 settembre 2020
Gli USA vogliono imporre le sanzioni all'Iran e si isolano dalla scena diplomatica
La questioni delle sanzioni all’Iran è sempre stato un punto fermo del programma politico di Trump, ora, alla vigilia delle elezioni presidenziali, quando la campagna elettorale si sta intensificando, il presidente statunitense rimette al centro del dibattito internazionale l’intenzione di ripristinare in maniera completa le sanzioni contro Teheran. Questa volontà è stata annunciata dal Segretario di stato americano, giustificandola con la risoluzione numero 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo l’interpretazione americana, l’Iran non avrebbe rispettato gli impegni presi con la firma dell’accordo sul nucleare, accordo dal quale gli USA si sono ritirati in maniera unilaterale. La notifica alle Nazioni Unite, avvenuta il 20 agosto scorso, della volontà statunitense avrebbe, secondo la Casa Bianca, attivato il processo di ripristino delle sanzioni con effetto dal 19 settembre 2020. La coincidenza con la campagna elettorale appare evidente, tuttavia questa intenzione pone gli Stati Uniti in un ulteriore stato di isolamento, che aggrava la posizione americana all’interno del panorama diplomatico. La reazione più eloquente è quella dell’Unione Europea, che denuncia l’illegittimità degli USA nel volere riapplicare le sanzioni. Si tratta di una illegittimità in contraddizione con il diritto internazionale, in quanto gli americani non possono riapplicare le sanzioni di un trattato dal quale si sono ritirati e, quindi, di cui non sono più sottoscrittori. Il dispregio del diritto, piegato alle necessità contingenti di politica interna, peraltro di una sola parte del paese, evidenzia come l’atteggiamento dell’amministrazione in carica sia un misto di imperizia e dilettantismo, dai quali, per l’ennesima volta, il paese ne esce malissimo. Infatti, se le reazioni di Cina, Russia e dello stesso Iran sono contrarie per ragioni di interessi politici nazionali, la posizione dell’Europa si distingue come un progressivo allontanamento dagli Stati Uniti per lo meno se al comando resterà questo presidente. Lo scontro non è solo sul provvedimento dell’applicazione delle sanzioni sulla base di un accordo dal quale Washington si è ritirato in modo unilaterale, ma anche sulla minaccia americana di applicare sanzioni a quelli stati che non si adegueranno alla decisione della Casa Bianca. L’atteggiamento americano è anche una sfida alle Nazioni Unite, uno scontro frontale che può avere conseguenze pesanti sugli equilibri della politica internazionale; infatti le minacce di sanzionare gli altri stati, che non vorranno adeguarsi alla decisione degli USA è una potenziale conseguenza della quasi certa decisione delle Nazioni Unite di non volere adempiere all’attuazione delle sanzioni. Si capisce che una diplomazia ormai costituita solo da minacce e che rifiuta ogni dialogo ed anche l’applicazione delle normali norme di comportamento rappresenta un segnale di debolezza, sia sul breve che sul medio periodo. Ma si tratta anche dell’abdicazione formale al ruolo di grande potenza da parte di un paese che si sta ripiegando sempre di più su se stesso in un momento dove il bisogno di fare fronte comune delle democrazie occidentali contro Cina e Russia appare una esigenza non più rinviabile. Non solo anche il programma “Prima l’America”, lo slogan che accompagna l’azione politica di Trump, sembra essere tradito da questo eccesso di protagonismo che è certamente contro gli interessi degli Stati Uniti. Washington non può proporsi contro l’espansionismo cinese o l’attivismo russo in maniera singolare, perché ha bisogno dell’azione congiunta dell’Europa, che, viene data sempre come sicura, ma a torto: infatti non si può pretendere che il maggiore alleato americano, già insofferente per l’azione di Trump, subisca in maniera passiva queste imposizioni; dal punto di vista commerciale l’Unione Europea non può tollerare di essere sottoposta a sanzioni in maniera illegale e la conseguenza non potrà che essere un irrigidimento dei rapporti anche su temi dove gli interessi americani avevano trovato un’intesa con l’Europa, come gli scenari degli sviluppi delle telecomunicazioni, con l’esclusione della tecnologia cinese. Questo caso mette ancora una volta in risalto come l’Europa debba trovare una modalità per essere sempre più indipendente dagli altri attori internazionali; se nei confronti di Cina e Russia c’è una distanza enorme su temi come i diritti umani, le violazioni informatiche ed anche i rapporti commerciali, che li pone sempre più come interlocutori inaffidabili; gli Stati Uniti, malgrado le politiche di Trump, restavano ancora gli interlocutori naturali, tuttavia la Casa Bianca sembra volere esercitare un ruolo sempre più egemone, che non può essere tollerato dall’Europa. Se le elezioni presidenziali americane non daranno un risultato diverso da quello prodotto quattro anni prima, le distanze con Trump sono destinate ad aumentare: a quel punto Washington potrebbe diventare non tanto diversa da Pechino o da Mosca.
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