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venerdì 25 settembre 2020
La mancata riforma del trattato di Dublino brutto segnale per l'Europa
La definizione di meccanismo di solidarietà obbligatoria flessibile è la definizione burocratica dell’insieme delle proposte che dovrebbero riformare, ma non superare, il regolamento di Dublino; infatti all’opposizione all’iniquo trattato fatta da Vienna e dai paesi del patto di Visegrad, si sono aggiunte la Germania ed i paesi nordici, che erano le mete di destinazione più ambite dai migranti. Se è vero che la pressione migratoria ha creato in questi paesi problemi interni di natura politica, che i governi preferiscono governare nella maniera più agevole, cioè cercando delle regole interne all’Unione per una distribuzione, risulta altrettanto vero che i paesi costieri più sottoposti agli arrivi, Italia e Grecia soprattutto, ma anche Spagna, restano responsabili per i migranti che sbarcano sulle loro coste, lasciando la questione di ordine nazionale e non ancora completamente sovranazionale, cioè di competenza di Bruxelles. A prescindere che l’approvazione della nuova regolamentazione deve essere approvata dai pesi membri, siamo di fronte all’ennesima soluzione improvvisata di fronte ad un problema che resta comunque non arginabile, per il quale servono soluzioni che vanno oltre i confini europei, ma per il quale occorre una gestione tale che deve essere in grado di garantire accoglienza senza dare occasione alle forze politiche sovraniste e anti europee di avere una scusa per la loro esistenza. Il nuovo meccanismo prevede che i paesi dell’Unione possano scegliere di fornire aiuto ad un altro stato in difficoltà con i flussi migratori con ricollocamenti o rimpatri, secondo quote calcolate attraverso i dati di prodotto interno lordo e numero della popolazione; tuttavia questa redistribuzione potrebbe essere poco di più che su base volontaria, infatti sarebbe contemplata la possibilità del rifiuto della redistribuzione, compensato dall’obbligo della gestione del rimpatrio dei migranti. Malgrado Bruxelles presenti il piano come un giusto compromesso tra i paesi che materialmente accolgono i migranti e le nazioni che li rifiutano, il meccanismo appare ancora troppo sbilanciato a favore di questi ultimi, soprattutto perché non prevede sanzioni efficaci, se non quella dell’obbligo di accogliere i migranti che non saranno riusciti a fare espatriare. L’assenza di regole sanzionatorie più dure, come il taglio dei contributi europei, lascia l’Unione in balia di paesi che non hanno evidentemente recepito gli ideali fondativi dell’Europa e che usano l’Unione soltanto come bancomat, senza obbligo. La sensazione è che la permanenza di questi stati sia funzionale agli interessi economici tedeschi, grazie, prima di tutto al basso costo della manodopera, occorrerebbe, invece, interrogarsi sulla reale convenienza generale di questi stati all’interno di una Unione di cui rifiutano non solo gli obblighi, ma spesso emanano leggi contrarie al diritto europeo. Se si vuole guardare agli aspetti positivi, pochi, si può registrare un timido avanzamento sulla ricerca di una politica comune sui flussi migratori, ma che, sull’aspetto della riforma del trattato di Dublino, lascia tutto inalterato. Il problema è anche morale, ed è un aspetto dal quale Bruxelles non può continuare a sfuggire, limitandosi a comunicati incolori e di prammatica sulla solidarietà alle persone migranti. I casi dei lager in Libia o della situazione dei campi in Grecia, non possono essere tollerati da chi si pone come esempio di civiltà. Italia e Grecia hanno le loro colpe, ma hanno dovuto trovare delle soluzioni discutibili perché non hanno avuto l’aiuto europeo, peraltro queste soluzioni sono state vantaggiose anche per Bruxelles. L’atteggiamento comune è improntato all’ipocrisia, che condizione l’azione politica nel tentativo di dare tenere insieme paesi con troppi interessi e visioni contrastanti. Se l’aspetto economico è ancora predominante, quello politico non è più rinviabile: Bruxelles deve essere in grado di operare uno scatto verso quell’unità di intenti, che può assicurare il futuro dell’Unione. Atteggiamenti timidi come quello attuale sui migranti e, soprattutto, sui meccanismi sanzionatori di chi rifiuta la suddivisione degli oneri, segnalano un approccio troppo poco convinto che serve solo a chi vuole sfruttare l’occasione per mantenere una Unione debole dal punto di vista politico e, quindi, che non riuscirà a trovare quel ruolo necessario per bilanciare USA e Cina. Quella che si afferma è una visione a breve periodo che danneggia anche i paesi che non comprendono che soltanto una equa suddivisione di tutti gli oneri, di cui il problema dei migranti è solo il più evidente, può garantire anche la suddivisione dei vantaggi, soprattutto finanziari. Alla fine è questo il punto cruciale che determinerà l’esistenza europea come visione d’assieme: chi non la comprende è meglio che ne esca, come ha fatto la Gran Bretagna.
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