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New mailLa proposta della Commissione Europea, per la creazione di una black-list dell’Unione allo scopo di sanzionare persone fisiche o giuridiche, che hanno perpetrato la violazione dei diritti umani, segna un capitolo nuovo dell’atteggiamento delle istituzioni europee di fronte al mancato rispetto dei diritti. Dal punto di vista normativo il progetto che riguarda il regolamento da adottare prende spunto da una legge già approvata dagli USA nel 2012, durante la presidenza Obama. I provvedimenti sanzionatori potranno essere adottati contro individui ed imprese a prescindere dal paese di origine, quindi anche appartenenti a nazioni che intrattengono con l’Unione normali rapporti diplomatici. Pur essendo già un argomento oggetto di trattativa, la situazione legata all’avvelenamento dell’oppositore russo, Navalni, ha messo l’argomento al centro del dibattito europeo. La misura che rappresenta la maggiore novità all’interno del regolamento sarà l’interdizione a livello europeo e, quindi, non più statale, dell’ingresso nel territorio comunitario della persona sanzionata. Naturalmente le opzioni di sanzione riguarderanno anche la possibilità di intervenire sui patrimoni e sui beni, presenti nella UE, dei soggetti che avranno infranto il rispetto dei diritti umani. Il regolamento dovrebbe riuscire a garantire una maggiore flessibilità nel perseguire i responsabili di violazione dei diritti umani, categoria di reati che non è ricompresa a livello individuale nelle liste presenti all’interno degli organi comunitari, che, attualmente, prevedono le black-list per i reati di terrorismo, uso di armi chimiche e reati informatici. Il divieto di ingresso nella UE, rappresenta un nuovo strumento sanzionatorio, che si aggiunge alla immobilizzazione dei beni, fino ad ora unica possibilità di intervenire contro le violazioni. L’approvazione del regolamento contro le violazioni dei diritti umani, dovrà raggiungere l’unanimità del Consiglio dell’Unione e ciò rappresenterà una prova tangibile della volontà di tutti i paesi europei di difendere i diritti civili e quindi i principi fondativi della stessa Unione. Si tratterà di una indicazione indiscutibile sulla reale volontà degli stati europei e, specialmente, di alcune determinate nazioni, che al loro interno non stanno garantendo i diritti politici e civili in maniera compiuta. Il voto dei singoli stati dovrà essere una materia da esaminare in modo attento ed il risultato finale dirà quale sarà la direzione vorrà prendere l’Europa. L’approvazione non pare scontata, sia per ragioni politiche, relative, appunto, all’atteggiamento di alcuni paesi, sia per ragioni di opportunità circa gli interessi economici che potranno essere colpiti e le relative risposte verso le aziende europee, oggetto di ritorsione. L’argomento dovrebbe, comunque, interessare uno spettro più ampio, proprio oltre le persone e le aziende ma comprendere gli stati colpevoli di violazione dei diritti umani. Se l’adozione del regolamento sanzionatorio diventerà realtà, sarà stato percorso soltanto il primo tratto nella lotta contro il mancato rispetto dei diritti umani, la battaglia di civiltà per essere pienamente efficace dovrebbe prevedere di ingaggiare una lotta contro i regimi statali colpevoli del mancato rispetto dei diritti umani. Questo versante, al momento appare soltanto una ambizione difficilmente percorribile, proprio per ragioni diplomatiche ed economiche; tuttavia il pericolo di non transigere sul rispetto dei diritti pone l’Europa al rischio concreto di potere subire una sorte simile; per il momento nella maggioranza dei paesi europei i diritti sono garantiti, ma la stessa presenza di stati all’interno dell’Unione dove le garanzie sono diminuite, rappresenta un monito, che deve essere tenuto ben presente. Inoltre i legami economici con stati che sono regimi politici, certo la Cina, ma anche altri, presuppongono contatti sempre più stretti, che prevedono forme di presenza sul territorio europeo di rappresentanti di queste nazioni. Se la soluzione non può essere l’autarchia, pretendere un maggiore rispetto dei diritti come base contrattuale potrebbe cominciare ad essere un mezzo efficace per obbligare alcuni regimi, almeno ad un diverso atteggiamento su questo tema. Occorre, però, cominciare dal fronte interno: la permanenza all’interno dell’Unione di paesi che hanno governi che hanno nel proprio programma politico la compressione dei diritti deve diventare una questione primaria e con una soluzione non più rimandabile perché la tolleranza è durata per troppo tempo.
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