l’Unione Europea finalmente si muove per sanzionare quegli stati che deviano dai principi fondamentali, da loro stessi sottoscritti al momento dell’adesione, della casa comune europea. Si tratta di un provvedimento tardivo, effettuato dopo anni di provocazioni verso Bruxelles e tutti quei paesi che hanno fatto del rispetto dei principi fondamentali dell’Unione il loro tratto distintivo all’interno dell’organizzazione sovranazionale; tuttavia si tratta anche di un inizio con un significato che travalica la sentenza singola e vale da monito ed avvertimento per altre nazioni, che intendono solamente godere dei vantaggi, specialmente economici, dell’appartenenza all’Unione Europea. La strategia di Bruxelles è stata quella della via giudiziaria, nonostante la presenza del famoso articolo 7 del Trattato dell’Unione, che consente la sospensione del diritto di voto nelle istituzioni europee del paese che viola i valori fondamentali dell'UE inclusi nell'articolo 2 del Trattato. Contro l’applicazione di questa sanzione, però, Ungheria e Polonia possono contare sull’alleanza di diversi stati, che condividono con i due paesi gli interessi economici derivanti dall’appartenenza all’Unione. Per Bruxelles, quindi, la via giudiziaria è stata una soluzione obbligata ma che si è rivelata efficace. Nello specifico l’azione della Corte di giustizia europea è stata attuata contro il provvedimento legislativo ungherese che prevedeva la chiusura di una università con una legge ad hoc. Ciò è stato considerato incompatibile con il diritto comunitario; la legge del governo di Budapest era costruita appositamente per vietare l’attività ed espellere dal territorio statale l’Università dell’Europa centrale, presente in Ungheria dal 1991. Questa università è stata costituita dal miliardario George Soros, di origine ungherese e osteggiato dai partiti e movimenti sovranisti. Il verdetto della Corte ha accettato il ricorso della Commissione europea contro la legge ungherese per violazioni sulle norme europee circa la libertà delle istituzioni, il mancato rispetto degli articoli della Carta dei diritti fondamentali che sanciscono la libertà di creare centri di istruzione e la relativa libertà di insegnamento ed infine anche la violazione delle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio sulla libera fornitura di servizi. La decisione della Corte permetterà alla Commissione europea di richiedere formalmente al paese ungherese di abrogare o modificare la legge contestata, eliminando comunque gli articoli che hanno determinato la chiusura dell’istituzione universitaria; nel caso che il governo di Budapest non segua quanto disposto dalla Corte la Commissione potrà presentare una nuova denuncia con la finalità di proporre pesanti sanzioni finanziarie contro l’Ungheria. Questo caso ha un significato importante per la Commissione europea perché, nello specifico segna un metodo, che sembra rivelarsi efficace, contro quei paesi che hanno intrapreso il mancato rispetto dei diritti come metodo di governo; peraltro le disposizioni della Corte avevano già fermato la riforma giudiziaria prevista in Polonia, che metteva in pericolo l’indipendenza del potere giudiziario. Se la strada giudiziaria ha effetti pratici, resta, comunque, vincolata ad un procedimento giuridico, che può avere effetti non certi, cioè per il momento rappresenta il migliore strumento disponibile, ma non può sostituire del tutto un adeguato processo politico, capace di regolare in maniera definitiva ed automatica il mancato rispetto dei diritti fondamentali da parte di governi autoritari. L’Unione, purtroppo, è ancora condizionata dalla necessità dell’unanimità degli stati: un sistema che condiziona e blocca le decisioni del parlamento europeo e rallenta l’azione della Commissione, chiamata, spesso a decisioni che la contingenza dei tempi vorrebbe molto veloci. Questa impostazione dovrebbe essere superata, anche in un’ottica di maggiore integrazione europea, certo pagando la perdita di una quota di sovranità dei singoli stati; ma, alla fine, il punto cruciale è proprio quello della sovranità delle singole nazioni, questione che, se non sarà superata, potrebbe bloccare qualunque avanzamento verso una maggiore integrazione. Appare compito del parlamento europeo procedere verso una riforma che possa svincolare le decisioni ed anche le sanzioni in maniera maggioritaria in maniera da superare l’attuale logica che prevede il requisito dell’unanimità, confidando che la maggioranza degli stati sia sempre fedele ai principi costitutivi dell’Unione Europea.
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