La ripresa del terrore islamico dentro i confini dell’Europa trova i paesi europei sorpresi ed impreparati, concentrati sulla pandemia e sui suoi effetti sanitari ed economici. L’impressione è che gli stati europei abbiano sottovalutato la minaccia e le connessioni indirette degli attentati con la politica estera ed il protagonismo di alcuni soggetti internazionali, come la Turchia. L’iniziale convinzione, ormai accettata da diverso tempo, che la sconfitta militare dello Stato islamico abbia generato un risentimento generalizzato capace di creare quelli che sono stati definiti i “lupi solitari”, estremisti che agiscono da soli dietro un proprio personale impulso contro l’occidente, sembra essere sempre meno certa a favore della possibile presenza di un disegno superiore, pensato ed organizzato in quella zona grigia dei contatti tra stati e movimenti terroristici. Il fine attuale delle provocazioni attuate con le condanne a morte eseguite nei luoghi di culto cristiani o nelle piazze e strade occidentali sembra essere quello di provocare una reazione contro i musulmani europei in grado di provocare una sollevazione generale, anche a livello internazionale degli stati musulmani contro l’Europa. L’ambizione di guidare questa guerra di religione, ma anche di civiltà è stata pubblicamente riconosciuta dal presidente turco Erdogan, che ha definito il trattamento dei musulmani in Europa paragonabile a quello riservato da Hitler agli ebrei. La portata di questa affermazione si commenta da sola, ma rileva la chiara intenzione di fare presa su di una popolazione con scarso spirito critico e vogliosa di riconoscersi in un elemento religioso comune come strumento di riscossa anche sociale. Questo non vale solo in Turchia, ma per il governo di Ankara può essere un mezzo per esercitare una supremazia geopolitica funzionale anche agli obiettivi geopolitici turchi, soprattutto per rendere legittima, alla platea musulmana dei fedeli in generale, ma anche ai governi dei paesi musulmani, la volontà di esercitare un ruolo di guida capace di unire la moltitudine dei fedeli musulmani, ora divisi; tuttavia non pare possibile che ad Ankara ci sia il mandante diretto di una strategia terroristica, che equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra, quello che sembra più probabile è la voglia di sfruttare gli eventi per volgerli a proprio vantaggio. La sorpresa è la mancanza di coordinazione a livello politico degli occidentali, che anche nei settori più progressisti continuano a mantenere una sorta di rivalità nazionale con schermaglie del tutto inutili. Appare singolare, ad esempio, la reazione del Washington Post all’uccisione da parte dei francesi del terrorista ceceno protagonista della decapitazione del professore di storia parigino, accusando il governo della Francia di avere preso di mira i gruppi musulmani. Questo esempio dimostra come una certa parte progressista sia ancora ferma a posizioni di principio, che male si conciliano con le esigenze pratiche della difesa dei valori occidentali. Quello che bisognerebbe fare, sul piano culturale innanzitutto, dovrebbe essere coinvolgere la parte dell’islam moderata e che è già riuscita ad integrarsi in occidente; certo questo non può bastare perché si tratta di una parte minoritaria, che ha comunque, qualche timore ad esporsi contro quella che, piace o non piace, è la parte maggioritaria dell’islam. In questa fase, oltre a non derogare dai principi democratici, soprattutto in una eventuale fase repressiva, occorre una azione preventiva decisa capace di stroncare sul nascere ogni atto terroristico, unita ad un controllo serrato di tutte quelle possibili fonti terroristiche, come moschee radicali e gruppi estremisti, che trovano spazio nei luoghi più degradati delle nostre società. Lo snellimento delle operazioni giudiziarie è un altro presupposto essenziale, insieme all’emanazione di leggi che rendano difficoltoso un certo tipo di proselitismo, a questo proposito le prediche dei luoghi di culto dovrebbero essere sempre nella lingua nazionale. Necessario è anche ridurre le occasioni di contestazione, sia nazionali, che internazionali: la questione delle vignette, sebbene debba essere assicurata la libertà di stampa è un esempio di come dare dei presupposti, certamente sbagliati, all’azione terroristica; ciò vuole dire che ogni singolo membro della società deve essere conscio di doversi impegnare in prima persona per tutelare gli interessi dei valori occidentali, anche rinunciando a parte delle sue prerogative. L’importante è che la battaglia contro il terrorismo mantenga comunque ed in ogni caso le sue peculiarità del rispetto dei diritti civili, quale tratto distintivo; questo è il punto da cui partire per non provocare un confronto di civiltà altrimenti destinato a peggiorare e da cui noi occidentali siamo quelli che hanno più da perdere.
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