Nonostante tutte le obiezioni sollevate da Trump le elezioni americane si sarebbero svolte senza vizi tali da essere invalidate. Sono numerose, infatti, le autorità elettorali americane che stanno certificando il risultato ed in un recente comunicato congiunto hanno affermato di non avere trovato prove evidenti di schede elettorali modificate, smarrite o di voti contraffatti. Si è arrivato a proclamare le ultime elezioni come quelle maggiormente sicure di quelle fino ad ora disputate nella storia statunitense. Questo giudizio contraddice tutte le accuse provenienti dallo sconfitto, che continua ad ostinarsi in una guerra personale, che danneggia solo il paese. In realtà questa tattica era stata ampiamente annunciata ancora prima del voto, durante la campagna elettorale, con la volontà di non riconoscere comunque la sconfitta a priori; Trump resta comunque il candidato repubblicano che ha preso più voti in una competizione elettorale, anche se ciò non è stato sufficiente per vincere; questo grande risultato ha però rinforzato la convinzione dell’ormai ex presidente di continuare la campagna di denigrazione dell’avversario e del sistema elettorale, che gli aveva permesso, quattro anni prima, di raggiungere la Casa Bianca. Il sospetto è che Trump, con questo atteggiamento, si sita preparando le condizioni più favorevoli al suo futuro da ex presidente, assicurandosi ricchi compensi per la stesura di libri e la partecipazione retribuita a conferenze e convegni: un modo per rimanere, in qualche modo, comunque al centro della scena funzionale alla preparazione della competizione elettorale del 2024, nella quale sembra volersi ripresentare. Anagraficamente questo è certamente possibile, Trump fra quattro anni avrà 78 anni, mentre politicamente la questione pone questioni più complicate. La candidatura, senz’altro ingombrante, andrebbe ad aumentare i pretendenti alle primarie, in un partito dove il magnate americano è stato sopportato, più che apprezzato, da una parte considerevole, sia nella base, che, soprattutto, dalla dirigenza del partito che si richiama ai valori classici dei repubblicani, sovvertiti dall’ondata populista iniziata con la contaminazione del tea party. In questo periodo che segue ai risultati elettorali, la gran parte dell’establishment del partito repubblicano non ha seguito Trump nella sua tattica di delegittimazione degli esiti del voto, ma ha mostrato un atteggiamento insofferente verso questo tradimento della prassi, tanto da essere minacciata, oltre che da Trump stesso, anche dai figli dell’ex presidente. Questa situazione apre a nuovi scenari possibili all’interno della politica statunitense, che vanno dal possibile tentativo di Trump di impossessarsi dell’organizzazione repubblicana fino alla fondazione di un proprio partito personale e familiare. Il grande risultato elettorale conseguito può essere anche interpretato come un consenso espresso principalmente verso la propria persona, più che come espressione del voto verso il partito repubblicano, questo assunto possiede certamente un fondamento di verità ed è ciò su cui si fondano le premesse per la fondazione di un partito di Trump, sganciato dai repubblicani. Per la politica USA potrebbe essere uno shock a causa della possibile scomparsa del partito repubblicano, soprattutto se non sarà in grado di esprimere un candidato adeguato al confronto con l’ex presidente. C’è da dire che la radicalizzazione delle posizioni politiche lascerebbe poco spazio ad un partito repubblicano senza la presenza di Trump, se non verso il centro della scena politica statunitense, un centro al momento occupato dalla figura di Biden, ma non da tutto il partito democratico dove si conta una robusta presenza della sinistra, che ha taciuto finora per potere raggiungere il solo obiettivo della sconfitta di Trump. Da quando Biden assumerà la presidenza sarà inevitabile che la sinistra dei democratici, anche con svariate ragioni, faccia valere le sue legittime pretese, dato che è stata una parte essenziale per portare il candidato democratico alla vittoria, soprattutto ricordando che il mancato appoggio della sinistra ad Hillary Clinton determinò proprio la vittoria del magnate Trump. Un possibile partito dell’ex presidente interessa così anche i democratici, dato che non è scontata la coesistenza pacifica tra i moderati e la sinistra. Lo scenario politico americano potrebbe così trasformarsi da bipartitico a tripartitico (analogamente a quanto accaduto in Inghilterra, anche se con presupposti differenti), dove i moderati dei due attuali partiti, dovrebbero trovare un terreno comune per cercare di prevalere. In ogni caso Trump, se così sarà, rappresenterà un ulteriore elemento di novità.
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venerdì 13 novembre 2020
Se Trump fonda un partito, gli assetti politici USA potrebbero cambiare
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