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giovedì 3 dicembre 2020

L'Europa cerca di superare l'ostracismo di Polonia ed Ungheria

 La vicenda dell’ostracismo di Polonia ed Ungheria verso i fondi comuni europei ha anche dei risvolti positivi. Il primo è che finalmente la posizione di Varsavia e Budapest appare in tutto il suo contrasto circa l’appartenenza all’Unione Europea: una adesione di comodo per reperire in modo facile somme che altrimenti non potrebbero essere disponibili per i due paesi ma barattate con una adesione ipocrita ai valori europei ed una incapacità ancora maggiore al loro recepimento ed adattamento. Individuare la volontà di comprimere i diritti civili, limitare la libertà di stampa e perfino della magistratura appare fin troppo facile, dato il prolungato atteggiamento in questo senso dei due paesi. La conclusione più logica è che Poloni ed Ungheria non possiedono i requisiti necessari per continuare a restare nell’Unione, con tutti gli annessi e connessi e la cui principale conseguenza è il taglio dei contributi finanziari a loro favore, mentre sul medio periodo si evidenzia la necessità di valutare con un attento esame l’effettiva esistenza dei requisiti politici necessari per potere restare all’interno di Bruxelles. Il secondo risvolto positivo, che deriva da questa situazione incresciosa, è che, finalmente, sta prendendo forma una risposta degli altri stati dell’Unione, evidentemente la maggioranza, con il chiaro scopo di creare una risposta efficace contro chi vuole immobilizzare le politiche di Bruxelles per perseguire i soli propri scopi; una reazione che deve servire di monito a chi intendesse usare l’Unione come proprio bancomat, senza una adeguata presa in carico dei doveri, peraltro concordati all’ingresso nell’organizzazione sovranazionale. Ad esempio l’atteggiamento di rifiuto verso la solidarietà comune, che hanno complicato in precedenza le crisi dei migranti, non dovranno più ripetersi. Nello specifico della attuale situazione di stallo, dove il voto unanime è necessario, il rischio è quello di un bilancio comunitario provvisorio, che inizialmente bloccherà diverse attività europee, ma che, successivamente potrà essere aggirato con l’istituzione di un fondo di recupero collocato all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione e con la adesione dei soli paesi intenzionati ad aderirvi; in questo modo per Polonia ed Ungheria lo svantaggio sarebbe doppio: perderebbero i contributi europei a causa del nuovo regolamento sul mancato rispetto dello stato di diritto ed i paesi partecipanti a questo fondo potranno decidere di decurtare dall’importo totale le somme destinate a Varsavia e Budapest, oppure lasciarle integrate nello stesso importo totale ma redistribuite tra i paesi aderenti. Una ulteriore aggravante sarebbe di tipo politico perché i due paesi potrebbero essere costretti a rinegoziare la propria appartenenza all’Unione, in una condizione di grande difficoltà economica dato il perdurare degli effetti della pandemia sull’economia, da affrontare senza gli aiuti europei. Un risultato che avrebbe la stessa valenza di una punizione; certo si tratterebbe di una soluzione estemporanea, ma che potrebbe essere adottata in maniera analoga per altri eventuali casi o, ancora meglio, diventare una norma automatica nel caso di mancato rispetto dei diritti, per consentire un procedimento di adozione delle misure più snello e veloce ed in grado di non bloccare situazioni contingenti, specialmente quelle di emergenza come l’attuale. Dal punto di vista morale il comportamento dei due paesi è fortemente censurabile e va a costituire un precedente molto negativo sul loro curriculum europeo, di cui si dovrà tenere conto in una eventuale fase di rinegoziazione sui criteri di appartenenza, mettendo dei vincoli stringenti su pericolosi atteggiamenti negativi circa il mantenimento e l’applicazione dei diritti, anche se ciò dovrà diventare una regola universale da non trasgredire mai per potere mantenere lo status di membro dell’Unione. I membri europei sembrano finalmente avere capito che abdicare o anche solo soprassedere su questi argomenti ha una valenza fortemente negativa anche sul piano economico, perché non permette quella unità di intenti necessaria e fa apparire l’Unione poco coesa e possibile preda di potenze poco o niente democratiche; nello stesso tempo la tutela dei diritti, che come abbiamo visto, non è più così scontata, proprio per la presenza di membri con requisiti insufficienti, ritorna centrale nel progetto comune europeo: una caratteristica essenziale per competere nel mercato globale con posizioni da veri leader mondiali, perché c’è sempre più bisogno dei valori fondanti dell’Europa.

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