La questione dell’indipendenza della magistratura polacca, diventa ufficialmente materia di contenzioso tra Bruxelles e Varsavia; infatti la Commissione europea ha deferito la Polonia alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, con lo scopo di tutelare l’indipendenza dei giudici della nazione polacca. L’argomento centrale della disputa è costituito dalla legge entrata in vigore in Polonia il 14 febbraio del 2020, che, secondo la Commissione europea, risulta essere incompatibile con il primato del diritto dell’Unione, perché influisce sulla necessaria indipendenza dei giudici dall’esecutivo. Particolare aggravante della norma legale in discussione è anche il divieto, per i giudici di applicare in maniera diretta le disposizioni del diritto europeo, che proprio vogliono tutelare l’indipendenza della magistratura, mediante l’attivazione di procedure disciplinari a carico dei giudici, inoltre viene previsto il divieto di demandare alla Corte del Lussemburgo le decisioni preliminari sugli argomenti dell’indipendenza della magistratura, secondo quanto previsto dai trattati sottoscritti anche da Varsavia. Se il ricorso della Commissione europea dovesse venire accolto per il governo polacco sarebbe la seconda condanna, dopo che le modalità sulla nomina dei giudici della Corte suprema della Polonia sono state ritenute in contrasto con il diritto europeo. Le giustificazioni dell’esecutivo di Varsavia vertono sul fatto di avere una maggiore efficienza nel sistema giudiziario, anche per eliminare le tracce ancora presenti della legislazione antecedente al 1989, quando il paese era governato dalla dittatura comunista. La scusa, tuttavia, appare incoerente giacché il governo in carica si appella all’eliminazione di norme vigenti sotto un regime dittatoriale, volendo sostituirle con una legge che non rispetta l’indipendenza dei magistrati, un comportamento, quindi analogo a quello che si vuole combattere. L’indipendenza dei giudici è un requisito fondamentale del diritto europeo che Varsavia ha accettato in modo volontario e non è negoziabile per Bruxelles. Ancora più grave che la violazione sullo stesso argomento sia ripetuta per la seconda volta ed a così breve distanza, visto che la prima sanzione risale soltanto al 2 marzo scorso. Una nuova condanna allontanerebbe ancora di più la Polonia ed il suo governo reazionario dai principi fondativi dell’Unione e confermerebbe, se ce ne fosse bisogno, una adesione del paese polacco dovuta al solo scopo di ottenere i vantaggi economici provenienti dall’Unione, che tanto pesano sul bilancio del paese. Il problema è risaputo: i paesi del Patto di Visegrad non sembrano essersi ancora abituati agli ideali occidentali e sono governati da esecutivi di destra che esercitano il potere ancora con i modi e le forme comuniste in vigore quando erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Nelle istituzioni dei paesi ex socialisti, in particolare Polonia ed Ungheria, non vi è stata una adeguata maturazione verso il rispetto democratico dell’esercizio di governo e delle opposizioni; in pratica non solo non è stato costruito quel sistema di pesi e contrappesi, che deve garantire il confronto democratico, ma, anzi, è stata presa la direzione di distruggere tutti quei poteri che possono contrastare una azione governativa univoca, sia esso il potere giudiziario, con la sua necessaria indipendenza, sia la libertà di stampa, sempre più compressa, con la conseguente diminuzione della garanzia dei diritti civili. La domanda è se può essere tollerabile avere come membri dell’Unione Europea, nazioni così indietro nei diritti, che l’ingresso e la permanenza in Europa avrebbe dovuto, invece fare progredire e garantire. La presenza di stati nazionali che rifiutano ogni obbligo e applicazione di norme che loro stessi hanno firmato liberamente e che troppo liberamente trasgrediscono non appare più tollerabile in un consesso sovranazionale che vuole aspirare a realizzare, prima o poi, una unione politica caratterizzata dalla garanzia del diritto. Se non si accettano queste regole minime non deve essere consentito neanche accedere ai vantaggi che l’Unione garantisce e non basta comminare multe e non permettere l’accesso ai bilanci europei, perché un ravvedimento di fronte a queste minacce è soltanto un ravvedimento non sincero, che favorisce la ripetizione della violazione alla prima occasione disponibile. Occorre avere il coraggio di definire questi paesi come pesi inutili al processo di integrazione europea e, di conseguenza, avere il coraggio di azioni drastiche come l’espulsione dall’Unione: almeno non si dilapideranno inutilmente i fondi europei in finanziamenti senza scopo alcuno.
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