I paesi occidentali temono la crescita dei movimenti radicali islamici in Africa, dove sono cresciuti gli episodi di violenza con un incremento molto rilevante, che ha contato circa 5.000 attentati con oltre 13.000 vittime, soltanto lo scorso anno. Lo spostamento di formazioni estremiste, come lo Stato islamico, dai paesi asiatici, come Siria ed Iraq, dove il fenomeno è praticamente sotto controllo, ai paesi africani, seguendo una direttrice da oriente ad occidente, pone grandi parti del continente africano sotto stretta osservazione, anche per la relativa vicinanza con l’Europa e gli ovvi contatti con temi quali l’emigrazione ed il rifornimento energetico, sempre più al centro delle problematiche europee. Non va dimenticato come, sul tema dell’emigrazione, i continui dissidi tra i membri dell’Unione Europea possano essere sfruttati come fattore di destabilizzazione dai fondamentalisti islamici, sempre più alleati delle bande dei trafficanti di uomini, sia come capacità di gestione dei flussi, che di introduzione in Europa di potenziali agenti, capaci di compiere attentati. Se i primi paesi minacciati da questi nuovi sviluppi, nell’immediato sono l’Italia e la Spagna, è ovvio che una incapacità di gestione globale da parte dell’Europa, investe proprio il vecchio continente, ancora molto diviso sulle possibili soluzioni dell’argomento. Su questo tema la nuova amministrazione americana è molto sensibile, perché basa la propria leadership atlantica sulla collaborazione con l’Europa e ritiene la sicurezza del vecchio continente un argomento centrale della propria strategia geopolitica. Probabilmente Washington, al suo interno, non vuole ripetere gli errori di valutazione compiuti da Obama, con la guerra siriana ed intende impedire uno sviluppo militare di formazioni islamiste in Africa, dove, peraltro sono già presenti ed attive, per impedire l’apertura di un nuovo fronte di impegno e, soprattutto, di pregiudicare la sicurezza europea, che implicherebbe uno sforzo ancora maggiore per gli USA. Attualmente il punto geografico cruciale è il Shael, dove la presenza dei fondamentalisti è favorita da uno scarso presidio delle forze governative dei diversi paesi che governano l’area, oltre alla conformazione fisica del territorio, che consente una estrema libertà di movimento alle milizie islamiste. Anche la diffusione della pandemia ha favorito l’attività dei fondamentalisti, rallentando gli incontri diplomatici per la soluzione del problema, tuttavia l’assicurazione della collaborazione alla lotta al terrorismo islamico di Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Mauritania e Yemen, rappresenta una ulteriore garanzia che il problema viene percepito a livello sovra continentale come urgente e molto pericoloso. L’attività di contrasto non potrà non prevedere un impegno sul campo, ma su questo versante i paesi europei sono riluttanti ad un impegno di proprio personale direttamente sul terreno africano, piuttosto si preferisce una scelta di operazioni di intelligence, in grado di anticipare le mosse dei terroristi e, soprattutto, bloccare i finanziamenti dei gruppi fondamentalisti. Questa impostazione appare però soltanto una parte della possibile soluzione del problema: infatti senza un contrasto militare diretto, appare difficile riuscire a debellare il problema del tutto, anche perché la presenza fisica delle formazioni terroriste, da una parte riesce nel proselitismo delle popolazioni della zona e con quelle che non riesce ad integrare pratica un regime di terrore, che, in ogni caso, rappresenta un punto di forza nel presidio del territorio. La sfida per gli occidentali è sapere coinvolgere gli eserciti dei paesi della fascia del Shael, almeno con finanziamenti, forniture militari ed addestramento delle truppe regolari; certamente i finanziamenti dovranno riguardare non solo l’aspetto militare ma anche, ed in maniera sostanziosa, tutto ciò che può riguardare lo sviluppo dei paesi coinvolti, in termini di infrastrutture, presidi medici e sviluppo dei settori produttivi. La questione africana, a lungo rimandata, dai paesi occidentali, si ripresenta così sotto forma di urgenza che ha come scopo la sicurezza stessa dell’Europa e dell’occidente, ma è, allo stesso tempo, una occasione di sviluppo globale che non può essere sprecata, anche per strappare l’Africa ad una influenza cinese, ormai male sopportata dagli stessi africani.
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