La visione inclusiva della Germania, probabilmente in parte spiegabile con i vantaggi economici da ricavare per sé stessa, dei paesi balcanici all’interno dell’Unione Europa vede una accelerata da parte della cancelliera Merkel, che ha recentemente ribadito la propria posizione, pur riconoscendo che il processo di integrazione necessita ancora del raggiungimento di diverse condizioni e requisiti. Secondo la Merkel i sei paesi balcanici, che non sono ancora stati integrati nell’Unione Europea, devono potere aderire a Bruxelles perché ciò è di fondamentale importanza strategica per l’Europa e l’Unione deve essere protagonista e condurre questo processo. Questa visione è condizionata dal timore, europeo e statunitense, che la vitalità dell’azione politica e finanziaria, soprattutto della Cina, ma anche della Russia, possa portare ai confini europei delle presenze ingombranti, sia dal punto di vista geopolitico, che militare. Si tratta di una perplessità condivisibile, che, però, non può giustificare adesioni avventate perché poco convinte dei valori europei e che, di conseguenza, potrebbero trasformarsi in fattore di alterazione ulteriore dei già fragili equilibri interni all’Unione. La questione è fondamentale per la stessa sopravvivenza dell’Unione Europea: le adesioni strumentali ai soli benefici economici di gran parte dei paesi dell’ex blocco sovietico, dovrebbero costituire un monito per praticare una accettazione di nuovi membri basata su criteri più selettivi e sicuri per la casa comune europea. Ormai troppe volte casi come il rifiuto della condivisione dei migranti o la promulgazione di leggi illiberali ed in palese contrasto con i principi ispiratori dell’Europa unita, hanno scatenato confronti aspri tra i membri dell’Unione, che ne hanno rallentato la vita politica. Ha Occorre ricordare anche il caso della Brexit, come monito sempre attuale di paese mai del tutto convinto del progetto europeo, ma in grado di assicurarsi, comunque, vantaggi consistenti per la propria economia. Se i dubbi inglesi erano fondati su temi utilitaristici, per i paesi balcanici il vero interrogativo è se questi popoli e, di conseguenza i governi che esprimono, hanno la maturità democratica necessaria per potere aderire all’Europa. Questo interrogativo ha tutt’ora una risposta purtroppo negativa se si pensa all’operato ed alle leggi, che calpestano i diritti civili all’interno dell’Unione, di paesi come Polonia ed Ungheria, che si sono rivelati palesemente immaturi dal punto di vista del pensiero democratico, probabilmente perché al loro interno non hanno compiuto un processo capace di elaborare i valori democratici in modo completo. La presenza, ancora troppo invadente, all’interno delle società di questi paesi della consuetudine comunista anti-libertaria sta ancora condizionando la capacità di accettare l’evoluzione sociale di quei paesi, favorendo una ideologia tipica nei modi dell’estrema destra, non distante, quindi, dalla concezione totalitaria vigente nel blocco sovietico. Se le parti dei paesi balcanici realmente favorevoli all’ingresso nell’Unione, non solo per i benefici economici, sapranno emergere e mostrare un reale cambiamento della società di quei paesi, nulla impedirà ad essi di entrare in Europa, ma per il momento i dubbi appaiono ancora molti. Sacrificare ulteriormente i valori europei, soltanto per impedire l’avanzata cinese e russa, appare una soluzione peggiore del problema, quando sarebbe, invece, opportuno interrogarsi se continuare a permettere di fare parte dell’Europa a nazioni che non stanno meritando affatto questo privilegio. Invece che una politica troppo inclusiva sarebbe preferibile attuare criteri di inclusione più stringenti, necessari ad una maggiore tutela della coesione europea. Si può obiettare che una tale politica potrebbe allontanare troppo i pretendenti all’ingresso nell’Unione fino a scelte totalmente contrarie, tuttavia l’esempio turco dice che avere impedito ad Ankara di entrare a Bruxelles ha preservato l’Europa di avere al suo interno una vera e propria dittatura, che avrebbe portato soltanto scompiglio dentro le istituzioni europee, con conseguenze del tutto destabilizzanti per la vita dell’Unione. Occorre quindi elaborare tattiche alternative ad un processo di dentro o fuori, che sappiano sorpassare i tempi ed i modi attuali di inserimento, pur non certo brevi. Una idea potrebbe essere una collaborazione basata su una sorta di federazione all’Unione degli stati non ancora membri, con possibilità per i funzionari europei di vagliare dal di dentro delle istituzioni di questi paesi la capacità della democrazia e del rispetto dei diritti, per ottenere un giudizio più diretto delle reali intenzioni degli stati candidati. Quello che serve, in conclusione, è la verifica del reale convincimento dell’adesione all’Europa, per scongiurare ingressi dovuti al recepimento esclusivo di benefici economici, ma anche evitare che membri storici dell’Unione ne possano trarre vantaggi.
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