Appare fin troppo ovvio dichiarare che la riconquista di Kabul e dell’intero Afghanistan è una sconfitta occidentale tra le più pesanti e con pericolose ripercussioni sugli equilibri che vanno aldilà di quelli regionali, perché riguardano gli aspetti generali del terrorismo e delle questioni geopolitiche. E’ un fatto che per arrivare a questa conclusione era meglio non iniziare neanche una occupazione che ha comportato un tragico bilancio di vittime e spese finanziarie letteralmente sprecate con una ritirata con la quale i militari ed i politici americani dovranno fare i conti per anni. C’è un concorso di fatti sottovalutati che ha contribuito ad una gestione approssimativa, che è alla base del fallimento; intanto l’approccio iniziale di USA e Gran Bretagna, orientato ad una operazione più che altro militare, sembra la tragica ripetizione di quanto accaduto in Iran; al contrario gli altri alleati europei avrebbero preferito un approccio più da missione di pace, ma non sono riusciti ad imporre la propria visione, giocando ruoli importanti, ma sostanzialmente di secondo piano. La questione del ritiro è stata una sorta di accordo tacito tra la Casa Bianca, già con Trump e poi con Biden, con l’opinione pubblica americana, che ormai non comprendeva l’occupazione afghana a causa dei tanti morti tra i soldati americani ed i tanti soldi pubblici spesi in questa lunga avventura. I politici americani non sono riusciti, anche per loro stessa scarsa convinzione, a convincere la maggioranza della popolazione americana della necessità di presidiare uno stato, che in mano ai talebani, diventerà la base di diversi gruppi terroristici, che avranno a disposizione un proprio territorio per formare nuove generazioni di terroristi, che avranno come obiettivo l’occidente. Sottovalutare questo pericolo è molto pericoloso, ma ormai sarà meglio pensare alle contromisure adeguate per il contenimento di quella che minaccia di diventare una delle prossime emergenze più gravi. A questo proposito deve essere valutata la presenza di alleati non proprio fedeli come il Pakistan, all’interno della questione: i rapporti con i talebani del governo pachistano sono certi, come sicuro è il coinvolgimento con Al Qaeda, la formazione terroristica che si pronostica avrà i maggiori vantaggi dal ritorno dei talebani al potere. Alcuni analisti hanno parlato di tattica di Biden per lasciare la gestione del problema alla Cina: non ci sono conferme o smentite ufficiali, ma questa tesi appare poco probabile, innanzitutto perché il dogma di Pechino in politica estera resta quello di non intromettersi nelle questioni interne, poi ci sono segnali inequivocabili, che, al contrario dimostrerebbero come la Cina sia pronta a sfruttare il disimpegno americano a proprio favore. La prima è lo storico legame con il Pakistan, nato in funzione anti indiana, secondo i talebani, pur essendo musulmani sunniti, non hanno mai condannato le persecuzioni di Pechino contro gli uiguri, i musulmani cinesi. La Cina può arrivare, con l’aiuto pachistano, ad offrire la propria tecnologia ad un paese arretrato in cambio di una pace regionale e della concessione di entrare nel territorio afghano con l’accordo di una non aggressione reciproca, inoltre il prestigio conseguente alla sostituzione degli americani è considerata una questione di prestigio per i cinesi, che, potrebbero anche esportare il proprio sistema politico, più facilmente in una dittatura seppure religiosa. Anche l’atteggiamento della Russia sarà da seguire: Mosca è una delle poche capitali che non intende chiudere le sue rappresentanze diplomatiche, proprio per allacciare legami di amicizia con i talebani, considerati potenziali alleati contro gli USA. Quindi sia Cina che Russia vorrebbero riempire il vuoto lasciato da Washington, proprio in funzione antiamericana; tuttavia il comportamento dei talebani non è mai lineare: in questa fase hanno bisogno di risorse estere e di riconoscimenti internazionali, che non potranno certamente arrivare dall’occidente, ma una volta che il loro potere riuscisse ad assestarsi l’atteggiamento verso potenziali nuovi alleati potrebbe subire variazioni provenienti dalla loro visione religiosa integralista. Il problema più immediato è però di natura umanitaria: la popolazione sta andando verso lo stremo e la minaccia di carestie e situazioni sanitarie molto gravi è quasi una certezza, mentre la questione dei profughi rappresenta una ulteriore minaccia per la stabilità dell’Europa, che presto dovrà affrontare tra gli stati membri di Bruxelles una massa di richiedenti rifugio, che minaccia di innescare nuove tensioni su argomenti di competenza comune, ma rifiutati da alcuni stati: un problema, che collegato alla nuova minaccia terroristica può portare ad uno stato di grave crisi all’interno dell’Unione.
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lunedì 16 agosto 2021
Le conseguenze internazionali del ritorno al potere dei talebani
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