I movimenti delle truppe di Serbia e Kosovo sul confine che divide i due stati preoccupano l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica, che temono scontri armati tra le due parti. Il Kosovo non è riconosciuto come entità statale dalla Serbia, ma anche dalla Russia, dalla Cina e dalla Spagna, uno dei cinque paesi europei a rifiutare il riconoscimento per non alimentare, anche in maniera indiretta, la questione dell’indipendentismo catalano. La questione scatenante è dovuta alla decisione, peraltro in vigore da tempo, da parte di Pristina di rifiutare l’ingresso alle autovetture serbe, se non con la condizione di essere registrate con targhe provvisorie. Le minoranze serbe presenti nella parte settentrionale del Kosovo non hanno gradito il provvedimento e la tensione è salita fino al danneggiamento degli uffici del registro automobilistico ed al blocco di strade. L’area settentrionale kosovara non è nuova ad episodi del genere perché, essenzialmente, la minoranza serba rifiuta l’autorità del governo di Pristina; la stessa Serbia considera le frontiere con il Kosovo come semplici valichi amministrativi, proprio perché rifiuta il riconoscimento dell’indipendenza di quella che ancora considera una sua provincia. Pristina ha schierato le proprie forze speciali nelle zone a minoranza serba ed ha vietato l’ingresso sul proprio territorio alle vetture con targa serba, sostenendo che Belgrado ha attuato un provvedimento analogo, provocando, oltre i disordini e le devastazioni già citate, anche il blocco delle vie di comunicazione con il resto del paese mediante dei blocchi stradali attuati con autoarticolati dalla minoranza serba. Belgrado ha recepito lo schieramento delle truppe kosovare come una provocazione cui rispondere in modo analogo: oltre alle forze di terra serbe ormai presenti alla frontiera, la dimostrazione di forza ha compreso anche il sorvolo dei territori del Kosovo con aerei militari. La richiesta di Belgrado a Pristina è quella di ritirare il provvedimento sul divieto della circolazione delle auto con targa serba per evitare un eventuale conflitto. Risulta chiaro che queste provocazioni, che avvengono da ambo le parti, sono espedienti per innalzare in maniera strumentale, forse per questioni di politica interna, una tensione che si trascina da troppo tempo senza una definizione definitiva, capace di superare il costante stato di pericolo. La diplomazia internazionale è consapevole di una possibile deriva militare come strumento di definizione della crisi e, sia l’Unione Europea, che l’Alleanza Atlantica, si sono attivate invitando i rispettivi paesi a fermare lo stato di crisi ritirando gli schieramenti armati che si fronteggiano sulla linea di confine, sottolineando che ogni azione unilaterale sarà considerata inaccettabile. Entrambi i governi assicurano di non avere alcuna volontà di volere provocare un conflitto, ma entrambi, per il momento, non sembrano lavorare in maniera diplomatica per un confronto con la controparte; per la Serbia, che ha ufficialmente presentato la propria candidatura a diventare un paese dell’Unione Europea nel 2012, si tratta anche di una prova della propria affidabilità nei confronti di Bruxelles, che non potrà non tenere conto, in maniera negativa, di un eventuale comportamento irresponsabile da parte di Belgrado. Nella questione entra anche l’Albania, altro paese candidato all’ammissione nell’Unione Europea, con domanda ufficializzata nel 2014, che vive con preoccupazione l’escalation negativa della situazione, per i naturali legami con il Kosovo e la sua maggioranza albanese: in questo scenario si deve ricordare che Tirana è un membro effettivo dell’Alleanza Atlantica, mentre Belgrado è soltanto un membro associato; ciò pone l’organizzazione del Patto Atlantico in una posizione difficile, ragione per la quale il Segretario generale ha intensificato gli sforzi per una definizione pacifica della questione, tuttavia il pericolo della deflagrazione di un confronto militare all’interno del vecchio continente arriva in un momento storico molto delicato per l’Unione Europea a causa delle gravi difficoltà che sta attraversando il rapporto con gli Stati Uniti. L’eventuale necessità di una dissuasione di un conflitto, presumibilmente, vedrebbe Bruxelles come attore principale, senza l’adeguato appoggio di Washington: una prova a cui l’Europa, al momento, non è ancora preparata.
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