L’accordo firmato da Stati Uniti, Gran Bretagna ed Australia per la condivisione di competenze avanzate su temi riguardanti le armi nucleari, la sicurezza informatica, l’uso dei sottomarini a grandi distanze e l’intelligenza artificiale, tutte materie strettamente legate al settore militare, indica la direzione geografica e gli intenti strategici, che Washington intende privilegiare nel prossimo futuro; quello che viene ribadito è la centralità della regione dell’oceano Pacifico, dove l’intento principale è quello di contrastare e contenere l’ambizione di Pechino, che considera la regione come zona di propria influenza. Non che quella di Biden sia una novità nella politica estera degli Stati Uniti: già Obama, di cui Biden era vicepresidente, aveva iniziato questa politica, spostando l’area di interesse americano dall’Europa all’Asia, Trump, pur con le sue contraddizioni, ha portato avanti questa strategia ed ora Biden la conferma, lasciando centrale la questione de dominio delle rotte navali, ma non solo, del pacifico. Certamente l’aumento di rilevanza e del livello di scontro, sia commerciale, che geopolitico, con la Cina, obbliga gli USA a concentrare lo sforzo maggiore su questa partita, coinvolgendo, però, altri soggetti internazionali, che sono alleati fedeli ed hanno interessi diretti nella regione, l’Australia, o il bisogno di trovare nuove soluzioni anche finanziarie, oltre che politiche, a causa dell’uscita dall’Europa. Non coinvolgere l’Unione Europea, ma soltanto due paesi che hanno un minore peso specifico internazionale, rispetto a Bruxelles, può significare che, attualmente, la Casa Bianca possa preferire un rapporto più sbilanciato a proprio favore; del resto la politica americana, nonostante le premesse di questo presidente, ha mantenuto, di fatto, le distanze con l’Europa quasi come ai tempi di Trump e la ritirata unilaterale dall’Afghanistan ne è stata l’ennesima prova. Inoltre il ritiro dal paese asiatico, ritenuto un obiettivo non strategico per gli USA, permetterà a Washington di riallocare nuove risorse finanziarie proprio per la sfida diretta con la Cina. Pechino sta espandendosi in maniera prepotente anche in Africa e Sud America, ma gli USA concentrano la propria attenzione nelle aree del Pacifico, forse anche per non ripetere gli errori di ampliare troppo le zone di azione, dove la potenza militare cinese è mostrata con maggiore arroganza, in questa ottica anche il coinvolgimento dell’India, naturale avversario cinese, nel presidio del Pacifico riapre scenari inquietanti sulle conseguenze di questi assetti internazionali. La politica USA , sulle alleanze militari coinvolge anche l’industria bellica portando scompiglio all’interno dell’alleanza con l’Europa ed in particolare con la Francia: l’accordo con l’Australia prevede la fornitura di sottomarini nucleari allo stato dell’Oceania, che ha in corso, su questo fronte, una commessa con Parigi; a causa del rallentamento della fornitura, Washington si è inserita nel rapporto commerciale e potrebbe vanificare la fornitura francese. Si comprende come l’Europa venga trattata come un alleato di secondo piano, processo iniziato da Trump irritato per lo scarso contributo economico e la volontà di Bruxelles di preferire la propria industria bellica, proprio a danno di quella americana. Per l’Unione Europea si tratta di segnali inequivocabili e bene fa la Commissione europea a cercare una propria autonomia militare, dotandosi di una prima forza di intervento rapido, primo tassello di un possibile esercito sovranazionale. L’accordo con Londra e Canberra investe, quindi, molto di più che gli aspetti geostrategici del Pacifico, che sembrano valere come tali soltanto per l’Australia, ma riguarda la visione stessa dell’Alleanza Atlantica, ridotta sempre più ad organizzazione marginale proprio per volere di Washington. La percezione è che gli Stati Uniti scelgano un approccio sempre meno condiviso della gestione della politica estera sulla materia del rapporto con la Cina, che rappresenta, al momento, il vertice dello scenario internazionale; tuttavia con coinvolgere l’Europa e la stessa Alleanza Atlantica denuncia una debolezza di fondo, che non fa che confermare la possibilità di nuovi errori tattici da parte di Washington. Se si vuole mantenere la leadership internazionale non si può privilegiare un solo luogo di confronto, ma presidiare, almeno, le zone più importanti, azione che la Cina cerca di fare, sostituendosi, talvolta, proprio agli americani. La partita è globale e come tale deve essere condotta, altrimenti la frammentazione dell’occidente sarà soltanto un vantaggio per Pechino.
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giovedì 16 settembre 2021
USA, Gran Bretagna ed Australia firmano un accordo per contenere la Cina
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