Il recente rapporto del Pentagono sull’incremento dell’arsenale militare nucleare cinese, espone dati molto preoccupanti, che riguardano una previsione di circa nuove mille testate entro dieci anni. Questo dato significa che la capacità tecnologica di Pechino è cresciuta tanto da permettere il raggiungimento di una produzione di ordigni nucleari in numero sempre maggiore, integrate anche da altre tecnologie all’avanguardia per scopi bellici. La Cina ritiene che aumentare il proprio arsenale atomico sia un elemento fondamentale nel quadro delle proprie ambizioni geopolitiche e, che, l’attuale differenza con gli Stati Uniti sia da colmare assolutamente, anche nel quadro della rincorsa al ruolo di prima potenza mondiale. Attualmente la stima americana parla di 200 testate nucleari disponibili per Pechino, con la prospettiva di arrivare a 700 testate nel 2027, per arrivare a 1000 nel 2030. Inoltre devono essere considerati i progressi cinesi nella tecnologia dei missili ipersonici, che portano la Cina ad uno stato molto avanzato nella capacità di sviluppare tecnologia militare di avanguardia. Queste considerazioni mettono in evidenza la necessità statunitense di adeguare i propri armamenti per mantenere la supremazia militare, anche in relazione all’accresciuta importanza nella politica USA del sud est asiatico: ma ciò porta alla ribalta il problema della rincorsa agli armamenti, che genera insicurezza ancora maggiore sullo scacchiere internazionale. Una delle preoccupazioni maggiori americane è data dalla capacità tecnologica cinese di costruire missili balistici intercontinentali che hanno il potenziale di raggiungere obiettivi a distanza di migliaia di chilometri. La strategia cinese, oltre all’obiettivo a medio termine di insediare il primato americano, nel breve termine per Pechino la crescita degli armamenti serve a ribadire il proprio atteggiamento sulla volontà di scoraggiare gli Stati Uniti ed i suoi alleati occidentali a non intraprendere alcuna azione militare per mettere in atto la protezione di Taiwan. La questione di Formosa, infatti, resta centrale nell’attuale momento politico internazionale e la decisione dell’invio della prima delegazione ufficiale da parte dell’Unione Europea ha provocato il forte risentimento cinese. Il Giappone, da parte sua, ha denunciato la circumnavigazione della sua principale isola, da parte di navi militari cinesi e russe, formalmente impegnate in manovre militari congiunte, in realtà percepite da Tokyo come una esplicita minaccia per non intervenire nella questione di Taiwan. Questi comportamenti cinesi sono percepiti come una minaccia per la stabilità globale, soprattutto per la posizione strategica che Pechino ha assunto lo stato, così detto di contrattacco di preallarme, che prevede un contrattacco missilistico immediato non solo in caso di attacco effettivo, ma anche di attacco potenziale o solo di minaccia incombente. La preoccupazione per l’atteggiamento cinese non riguarda solo gli Stati Uniti, ma soprattutto i paesi vicini, in prima fila il già citato Giappone, che ha avviato un programma di spesa militare, che riguarda il due per cento del proprio prodotto interno lordo, una quota mai stanziata da Tokyo e che denuncia la volontà nipponica di recitare un ruolo di primo piano nel contenimento della prepotenza cinese. Pechino potrebbe accusare la pressione che si sta creando intorno all’isola che considera una prosecuzione del proprio territorio e quindi della propria sovranità, pressione, che, per altro la Cina stessa ha contribuito a creare con le azioni intimidatorie, come il sorvolo di centinaia di aerei militari sul cielo di Taiwan. Si comprende, come anche le iniziative diplomatiche, come quella di Bruxelles, potrebbero contribuire a cambiare in peggio l’attuale condizione di precario equilibrio, ma restano in maggiore evidenza le possibili conseguenze di potenziali minacce armate sfuggite al controllo o errori umani in grado di scatenare reazioni inconsulte; l’attuale alta concentrazione di armamenti è destinata a salire, così come gli attori sul palcoscenico ed il pericolo derivante da un riarmo incontrollato, rappresentano tutti fattori di una situazione dove l’opzione militare può assumere una consistenza molto probabile. Per ora, tuttavia, la predominanza dei mezzi militari americani può consentire di ipotizzare che la Cina possa esercitare soltanto azioni di disturbo, dove comunque l’incidente è sempre verificabile, ma che sono molto meno pericolose di un ipotetico attacco diretto, come lo stesso presidente cinese ha più volte minacciato. Il tempo che resta, quindi, all’incremento effettivo dell’arsenale nucleare cinese, andrebbe usato per lasciare il posto all’azione diplomatica o ad esercitare la pressione commerciale, alla quale Pechino è molto sensibile, per penalizzare l’economia cinese: ma bisogna essere in grado di farlo e, soprattutto, di fare le adeguate rinunce; ma per il mantenimento di una democrazia nell’area questo appare essenziale.
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