La Polonia finalmente paga il proprio atteggiamento arrogante ed il disprezzo delle regole nei confronti delle istituzioni europee. L’antefatto è costituito dall’ostinazione allo sfruttamento di una miniera di carbone, situato nel territorio della Repubblica Ceca, da parte di una società statale polacca, che ha generato un contenzioso tra Praga e Varsavia; contenzioso regolato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Il tribunale dell’Unione ha condannato la Polonia a non continuare l’opera di sfruttamento del giacimento della Repubblica Ceca; il rifiuto di Varsavia di conformarsi a questa sentenza ha generato una multa pari a 500.000 euro al giorno, che sommati per tutte le giornate di inadempienza sono arrivati a costituire una somma pari a 70 milioni di euro a carico dello stato polacco. Nonostante l’accordo raggiunto successivamente tra i due paesi, Ursula Von der Leyen ha confermato la sanzione, mettendo in chiaro che ad alcuno paese membro dell’Unione è consentito violare le norme comunitarie. Ad aggravare la situazione è stato anche l’atteggiamento sprezzante del governo di Varsavia contro la corte lussemburghese , accusata di volere imporre le proprie regole in maniera arbitraria. Non è escluso che senza questi attacchi la multa potesse essere ridotta o, addirittura non applicata, ma i comportamenti del governo nazionalista della Polonia sono da tempo sotto l’esame delle istituzioni europee, soprattutto per l’atteggiamento anti liberale ed anti garantista nei confronti dei diritti civili. La soluzione della Commissione europea sarà, quindi, quella di sottrarre una quota dei fondi destinati alla Polonia pari all’ammontare totale della multa, i già citati 70 milioni di euro. Dal punto di vista tecnico non si tratta più di una decisione legale, perché a seguito dell’accordo tra Praga e Varsavia, la sentenza della corte del Lussemburgo diviene sorpassata, ma del mantenimento della sanzione amministrativa come puro atto politico, che segna un precedente di indirizzo della politica comunitaria, tanto è vero che il caso costituisce una novità, essendo la prima volta che la Commissione europea agisce trattenendo dei fondi in seguito al mancato rispetto di una sentenza. Inoltre la Polonia dovrà versare anche 45 milioni di euro alla Repubblica Ceca per i danni conseguenti alla mancata sospensione dell’attività estrattiva. Il paradosso della dichiarazione del governo polacco di avere dichiarato che si opporrà in tutte le sedi appropriate contro la decisione della Commissione è che l’unica sede dove appellarsi è proprio quella Corte di giustizia europea che ha sede in Lussemburgo e che è stata praticamente disconosciuta dal governo polacco. Varsavia appare così in un vicolo cieco nei confronti della Commissione, anche perché resta aperta la questione del tribunale disciplinare che minaccia l’indipendenza della magistratura polacca; anche in questo caso la Corte lussemburghese ha provveduto a dichiarare illegale la nuova istituzione, che comunque continua ad esercitare la sua funzione in aperto contrasto con le disposizioni dell’Unione. La tensione tra Varsavia e Bruxelles è quindi arrivata ad un punto molto elevato, malgrado le speranze dell’esecutivo populista della Polonia, che sperava in una sorta di distrazione delle istituzioni europee, maggiormente concentrate sulla questione ucraina e dei profughi provenienti dalla Bielorussa. La scelta della Commissione, al contrario, ha privilegiato una azione sanzionatoria per ribadire l’indirizzo politico che si è voluto intraprendere: quello di evitare la ripetizione, come spesso accaduto troppo spesso in passato, di tollerare il comportamento di alcuni stati membri in aperto contrasto con i principi in vigore ed ispiratori della casa comune europea. L’atteggiamento utilitaristico a senso unico, cioè a solo proprio vantaggio, di troppi membri europei non è più tollerabile in una associazione di stati la cui adesione è libera ma vincolata a norme specifiche, che devono essere universalmente accettate una volta diventati membri dell’Unione. Stati come la Polonia iscrivono nel loro bilancio somme sostanziose, che spesso rappresentano la maggior parte del loro budget, direttamente provenienti dall’Unione, senza fornire il contributo richiesto in materia di collaborazione con gli le altre nazioni ed applicazione e rispetto del diritto europeo; si tratta sostanzialmente di paesi non affidabili, verso i quali la sanzione della mancata corresponsione dei fondi deve costituire soltanto il primo avvertimento, propedeutico a sanzioni ben più gravi e definitive. La politica del superamento dell’unanimità non potrà che favorire questa direzione e forse resteranno soltanto gli stati fortemente convinti dell’idea di Unione, con i loro vantaggi ma anche i loro obblighi, certamente rispettati e non messi in discussione.
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venerdì 11 febbraio 2022
La Commissione europea sanziona la Polonia
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