Che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta dopo la fine dei giochi olimpici cinesi non è stato un caso: Putin ha rischiato un fallimento dell’azione per le condizioni metereologiche avverse ai mezzi pesanti, pur di mantenere la promessa fatta al leader cinese ed in omaggio all’alleanza che si sta sviluppando tra i due paesi basata sugli scambi commerciali, in primo luogo sulla vendita del gas russo ai cinesi, ma soprattutto sull’intesa politica che si sta sviluppando circa il progetto di un nuovo ordine mondiale, basato su valori alternativi a quelli delle democrazie occidentali e fondato sulla repressione dei diritti civili. La mancata condanna cinese, peraltro scontata e largamente prevista, contro l’aggressione russa rappresenta una sorta di avvertimento per Taiwan, da sempre nelle mire del governo di Pechino, che sostiene il progetto di un’unica patria. Il momento potrebbe essere propizio per una invasione dell’isola, con gli stati occidentali impreparati all’azione di Putin a cui non hanno sostanzialmente opposto resistenza: tali condizioni potrebbero ripetersi anche per Taiwan, che nulla potrebbe, come nulla può Kiev, ad una invasione da parte di una potenza così manifestamente superiore. Esistono, però, delle controindicazioni pratiche per la Cina, che mettono in risalto delle differenze con la situazione che si sta sviluppando in Europa. La prima di tutte è che il principale obiettivo di Pechino continua ad essere la crescita economica ed i contraccolpi economici di una invasione ridurrebbero di molto il prodotto interno lordo cinese, sulla cui crescita si concentrano gli sforzi del governo comunista, anche in ragione della contrazione della crescita mondiale dovuta alla pandemia. Per quanto riguarda la guerra Ucraina, Pechino ha sostituito proprio la Russia come primo partner commerciale di Kiev per l’interessa che riguarda la via della seta e sicuramente non gradisce gli attuali sviluppi anche se, forse viene valutato che con un governo filorusso, potrebbe avere ancora maggiore libertà di movimento. Circa Taiwan alcuni mezzi di stampa funzionali alla propaganda governativa hanno definito l’isola il Donbass cinese, cominciando a preparare una sorta di giustificazione preventiva ad una eventuale invasione militare. Non vale neanche più credere che la Cina non oserà attaccare Taiwan per non intraprendere una azione di difficile gestione e con conseguenze non facili da pronosticare, proprio perché circa Putin si credeva la stessa cosa, ed è stata smentita in maniera clamorosa. E’ anche vero, però, che a differenza dell’Ucraina, a Taiwan sono presenti già militari americani, che rendono lo scenario più complicato nel caso di un attacco ed anche la presenza costante della marina americana, sia nella stessa Taiwan, che in Corea del Sud e Giappone presuppone un impegno militare diretto, che unito a presumibili sanzioni, potrebbe complicare molto più che a Putin una azione militare. Quello di un impegno diretto americano nella zona del Pacifico si spiega con la dottrina internazionale inaugurata da Obama di giudicare maggiormente importante, per gli Stati Uniti, il sud est asiatico, proprio in funzione delle vie di comunicazione delle merci ed a causa di ciò che è stata trascurata la Siria, c’è stato il disimpegno dal medio oriente e dall’Afghanistan e sostanzialmente anche dall’Europa, tuttavia sono legittimi sostanziosi dubbi sulla reale volontà e capacità di condurre un conflitto da parte dell’attuale presidente americano , che non pare intenzionato ad intraprendere azioni militari. Sia come sia, la reazione americana sull’Ucraina sarà profondamente studiata da Pechino per intraprendere strategie, che non riguarderanno soltanto la potenziale invasione di Taiwan, ma anche i rapporti stessi con gli USA, soprattutto circa i dossier che hanno prodotto i contrasti più profondi tra i due paesi. Una apparente arrendevolezza degli americani, anche dal punto di vista delle sanzioni contro la Russia, potrebbe autorizzare Pechino a comportamenti sempre più spregiudicati nelle battaglie commerciali e nei rapporti con gli altri stati, sia europei che africani, dove la Cina punta a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Per Washington un monito concreto per valutare molto bene le sue mosse e le loro conseguenze a livello globale e non solo limitate alla Russia.
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