La strategia dell’Unione Europea avanza piano e con diversi dubbi circa l’ammissione dei paesi balcanici all’interno della propria organizzazione. L’intenzione principale è quella di sottrarre le nazioni balcaniche dalla potenziale influenza russa, che costringerebbe l’Europa ad una ulteriore presenza di Mosca sui propri confini; dall’altro lato, però, continuano i dubbi sull’esistenza delle condizioni richieste da Bruxelles ed anche sulla reale opportunità di allargare i membri dell’unione a paesi non troppo convinti dei principi europei e ambiziosi principalmente di entrare nel mercato più ricco del mondo e di usufruire delle ricche sovvenzioni dell’Unione Europea. Il rapporto costi benefici dell’ammissione di Bosnia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia si concentra proprio sul dilemma tra l’esigenza di sottrarre all’influenza russa paesi dove la simpatia per Mosca è comunque presente ed elevata e la gestione di paesi che potrebbe assomigliare al rapporto con quelli del patto di Visegrad. Con le attuali norme europee basate sull’unanimità delle decisioni, consentire l’ingresso di nuovi membri, dei quali non si hanno le più complete garanzie, appare un rischio tale in grado di indebolire ancora di più i precari equilibri che governano l’Unione; diverso sarebbe il caso dove il criterio dell’unanimità fosse superata da quello della maggioranza, in grado di rendere impossibile il blocco delle decisioni e consentire una governabilità dell’ente sovranazionale più veloce e non bloccato da esigenze contingenti, anche e soprattutto politiche, dei singoli soggetti statali. Per il momento, quindi, si procede lentamente, con aiuti per combattere la crisi energetica ed altre concessioni pratiche, ma di importanza minore, come l’estensione del roaming telefonico; oltre ad una dichiarazione formale in cui l'Ue ha ribadito "il suo impegno totale e inequivocabile per la prospettiva europea di tutte le paesi dei Balcani occidentali». Tuttavia questi piccoli progressi devono essere visti con un’ottica positiva, perché il vertice tra i paesi candidati e la presidente della Commissione ha prodotto una intenzione di affrontare insieme le difficoltà prodotte dalla guerra ucraina e buone prospettive, seppure nel medio periodo, sul futuro dei rapporti tra le parti. Anche il Presidente del Consiglio europeo ha usato parole di ottimismo per l’entrata in Europa dei paesi baltici, ma con una tempistica non immediata, confermando ancora l’ipotesi di un iter non certo breve, ma, apparentemente, ineluttabile. Per alcuni paesi l’integrazione potrebbe essere più vicina ed, effettivamente, per Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, il fatto di essere già membri dell’Alleanza Atlantica costituisce un fattore preferenziale per l’ammissione a Bruxelles, anche se sono ancora presenti ostacoli circa i requisiti richiesti dall’Unione e sui quali queste nazioni si sono impegnate a lavorare per raggiungere gli standard richiesti. Il percorso della Bosnia appare più lungo a causa della sua instabilità costituzionale, che ha assunto una cronicità, che costituisce un motivo di rallentamento decisivo per il percorso di ammissione. La questione del Kosovo risulta ancora più complicata, perché il paese balcanico al momento è conscio di non potere neppure avviare un processo di ammissione perché deve risolvere i problemi del riconoscimento internazionale per la sua dichiarazione di indipendenza unilaterale ed il mancato riconoscimento di Serbia, la Federazione Russa e, soprattutto di 5 membri dell'UE (Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania), e la Repubblica Popolare Cinese; in Europa l’ostacolo maggiore è rappresentato da Madrid, che rifiuta il riconoscimento paragonando la secessione del Kosovo a quella tentata dalla catalogna. Il caso più complesso è però rappresentato dalla Serbia, che afferma di volere procedere verso l’ammissione all’Unione, ma, nel contempo, mantenere i propri legami con la Russia, che non sono solo politici, ma anche culturali e religiosi. Con la svolta della guerra ucraina e l’atteggiamento già da lungo mantenuto da Putin, di profonda contrarietà nel rispetto dei diritti civili e politici ed il profondo contrasto al dissenso, per Bruxelles la condotta di Belgrado non è accettabile e la profonda distanza che si è creata tra l’Unione, profondamente filoatlantica, e la Russia, al momento appare come un ostacolo insuperabile. Senza un allineamento alla politica estera europea la Serbia non ha alcuna possibilità di entrare in Europa, ma questo risultato sarebbe fortemente sfavorevole per l’Unione, che potrebbe vedere sorgere nel centro del mare adriatico perfino una base per la flotta russa: cosa che non deve assolutamente accadere.
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mercoledì 7 dicembre 2022
Il difficile processo di ammissione dei paesi balcanici nell'Unione Europea
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