La funzione dell’Organizzazione mondiale del commercio non sembra più godere di quella condivisione tra gli stati, dettata dalla necessità di favorire il processo, che risale agli anni novanta dello scorso secolo, mondiale della globalizzazione, intesa come volere delle maggiori economie per favorire un complesso di regole capaci di garantire il libero commercio. Si è trattato di una azione diretta contro le protezioni stataliste e la conseguente volontà di interrompere gli aiuti dei governi alle imprese ed alla parziale cancellazione delle politiche doganali, basate su dazi ed imposte sui beni e servizi provenienti dall’estero. La ripresa dei nazionalismi, sia politici, che militari e, soprattutto, economici, sembra avere accantonato il processo di liberalizzazione dei mercati, lasciando soltanto le parti peggiori degli effetti della globalizzazione: come la compressione dei salari ed il conseguente aumento della diseguaglianza, sia sul piano interno, tra i ceti sociali, che su quello internazionale, basato sulla profonda differenza della ricchezza delle nazioni. C’è chi incolpa la politica degli Stati Uniti, a causa della presidenza Trump, prima, e di quella di Biden, ora; tuttavia l’azione degli USA è scaturita dal comportamento della Cina, che, per raggiungere gli obiettivi di crescita che si era data, ha basato la propria azione economica su di una forte politica statalista, connotata da un grande autoritarismo, che non poteva conciliarsi con la struttura commerciale costruita sui sistemi democratici. Resta pur vero che Biden, internazionalista di nome, ha bloccato il funzionamento dell’Organizzazione mondiale del commercio, impedendone la nomina dei funzionari dell’organo di appello del WTO, che ha proprio la funzione di giudicare sulle controversie. Il punto centrale è che l’Organizzazione mondiale del commercio può autorizzare l’introduzione di dazi commerciali, soltanto nel caso di questioni di sicurezza nazionale, ma Washington contesta questa impostazione, sostenendo che questa attribuzione spetta soltanto alla Casa Bianca, nel caso della sovranità americana. Una delle condizioni del funzionamento del sistema commerciale mondiale, che dovrebbe essere garantito dal WTO, è proprio il tacito accordo tra gli stati a non ricorrere all’argomento della sicurezza nazionale, se ciò viene meno l’intero sistema sarà da rielaborare. D’altro canto, l’assetto istituzionale della Cina non permette un controllo come quello che il WTO può esercitare sugli stati democratici, dove il processo dei rapporti tra stato ed aziende è completamente visibile, mentre nello stato cinese la commistione tra pubblico e privato è meno distinguibile ed il sistema dei sussidi e le pratiche protezionistiche sono più difficili da accertare. Il comportamento americano, peraltro anche condannato dall’Europa, è, sostanzialmente, una reazione alla tendenza protezionistica di Pechino, che, di fatto, ha come conseguenza la paralisi dell’Organizzazione mondiale del commercio, impossibilitata al suo ruolo di arbitro; ciò provoca un ritorno al passato con il commercio internazionale sempre più bloccato da dazi nazionali e protezione dei prodotti internazionali. All’atto pratico l’evoluzione del commercio internazionale andrà incontro ad una serie di accordi regionali, basati su convenienze economiche e politiche, con le controversie regolate, non più da un attore sovranazionale, ma da negoziati politici e commerciali, che avverranno sulle relative parti coinvolte, senza incidere sullo scenario globale. Probabilmente quelli che si andranno ad innescare saranno rapporti di forza sbilanciati a favore degli attori con maggiori capacità a discapito dei piccoli paesi: uno scenario che indica come siano necessari sempre più organismi sovranazionali, basati su criteri geografici o anche di reciproci comuni interessi, capaci di bilanciare la potenza di grandi soggetti come gli USA o la Cina o, anche, l’Unione Europea. Ciò implicherà uno sforzo politico per i paesi che non rientrano in questi attori, teso a favorire azioni comuni sotto l’egida di organizzazioni già esistenti, come, ad esempio l’Unione degli stati africani, rafforzandone la valenza internazionale. Il rischio concreto è che questi temi possano provocare nuove tensioni internazionali, andando ad aumentare i fattori di crisi mondiale, in una fase storica già fortemente pregiudicata.
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venerdì 17 febbraio 2023
Il sistema del commercio mondiale è in crisi
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