Una delle conseguenze della guerra di Gaza è la sospensione degli accordi di Abramo, tuttavia, l’Arabia Saudita ha solo sospeso l’avvicinamento ad Israele restando in attesa di un momento più propizio. Degli altri stati arabi che hanno già firmato rapporti con Israele, non ve ne è stato alcuno che ha solo minacciato di interrompergli, sono solo arrivate delle critiche a Tel Aviv per la risposta esagerata all’azione di Hamas del sette ottobre scorso, assieme alla richiesta di un cessate il fuoco, soprattutto per ragioni umanitarie. Si tratta di una situazione nettamente favorevole a Tel Aviv, che non può che rilevare il sostanziale silenzio del mondo sunnita. Questo scenario, in verità già in corso da tempo, può essere favorevole ad Israele solo nel corto periodo, ma nel medio e nel lungo favorisce la radicalizzazione dei palestinesi ed il protagonismo degli sciti, con l’Iran come capofila, seguito da Yemen ed Hezbollah. In special modo Teheran assurge, come unico rappresentante dei musulmani, a difensore dei palestinesi. Netanyahu ha di fatto ottenuto quanto voleva: una radicalizzazione, con la marginalizzazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, organizzazione laica e più moderata, dei palestinesi può evitare la discussione sui due stati ed il protagonismo di Teheran obbliga gli statunitensi ad una nuova collaborazione con il governo nazionalista israeliano; infatti il ritiro americano dalla regione medio orientale è stato ripensato obbligando Washington a schierare una grande quantità di mezzi armati, soprattutto in mare, per proteggere l’avanzata dell’esercito israeliano ed anche per proteggere le basi americane del Golfo Persico da possibili attacchi iraniani. L’evidente volontà di dissuasione da parte di potenziali pericoli di Teheran, ma non solo, ha determinato lo schieramento di diversi missili capaci di raggiungere il territorio iraniano; questo implica che nelle trattative con il regime degli Ayatollah non potranno registrarsi progressi, sul tema del nucleare e neppure sull’allentamento delle sanzioni. L’Iran, pur avendo affermato pubblicamente di non avere alcun interesse ad ingaggiare un conflitto con USA ed Israele, non potrà che continuare a percorrere la propria strategia di destabilizzazione dell’area, per affermare i suoi obiettivi di controllo sulla Siria, insieme alla Russia ed a parte del Libano, territori essenziali per continuare a mettere sotto pressione Tel Aviv. Washington dovrà però considerare le responsabilità israeliane per avere dovuto rinunciare ad una progressiva riduzione della sua attività diplomatica nella regione medio orientale a favore di una maggiore concentrazione nella questione ucraina. Occorre specificare che diverse amministrazioni della Casa Bianca sono, per lo meno, in concorso di colpa con Tel Aviv, per non essersi impegnate sulla definizione del progetto dei due stati e non avere combattuto l’azione dei governi della destra nazionalista israeliana, che ha operato nei confronti dei Palestinesi una politica di occupazione e prevaricazione in spregio di ogni diritto civile ed internazionale. Soltanto Washington poteva fare la pressione adeguata su Israele, ma così non è stato e la soluzione dei due stati, che poteva scongiurare la situazione attuale, non è stata realizzata, anche grazie alla falsa disponibilità di Netanyahu e della sua politica spregiudicata. Ma ancora una volta la strategia si è rivelata miope ed a livello internazionale ha provocato una ondata antisionista ed anche antisemita, che ha messo in difficoltà gli ebrei in diversi paesi del mondo. In questo momento la questione dei due stati non appare percorribile per l’ostilità israeliana, eppure sarebbe ancora l’antidoto più valido al costante pericolo la questione israelopalestinese provoca negli equilibri mondiali. Prevedere una possibilità di controllo della striscia di Gaza da parte dell’esercito di Tel Aviv implica sviluppi altamente pericolosi, che, una volta avviati, potrebbero diventare inarrestabili e trascinare il mondo in un conflitto totale. Si è già visto che attori come la Russia stanno approfittando del cambio di rilevanza internazionale per distogliere l’attenzione dalla questione ucraina ed, allo stesso modo, la Cina potrebbe decidere di cambiare atteggiamento con Taiwan e passare all’azione, così come i gruppi terroristi che stanno operando in Africa potrebbero alzare il livello dello scontro. Senza la questione di Gaza questi fenomeni sarebbero maggiormente gestibili e perfino il rapporto con Teheran sarebbe migliore. Ecco perché la necessità di arrivare alla pace nel minor tempo possibile implica una responsabilità che Tel Aviv non può rifiutare, pena un brutto destino, soprattutto nel medio periodo.
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