I tragici fatti del 7 ottobre, avvenuti in territorio israeliano al confine con la striscia di Gaza, sono stati un piano preordinato di Hamas e su questo non ci sono dubbi. Quello su cui ci si deve interrogare è l’atteggiamento delle forze di confine israeliane, allertate da suoi stessi membri e da probabili notizie di intelligence, evidentemente sottovalutate, con i confini sguarniti grazie alla diminuzione degli effettivi presenti. Queste avvisaglie sono state veramente sottovalutate o fanno parte di un piano del governo in carica, per favorire la creazione di un motivo legittimo per scatenare la repressione su Gaza ed una eventuale sua conquista e l’ulteriore facilitazione dell’espansione delle colonie in Cisgiordania? Occorre tornare indietro nel tempo e ricordare che la gestione del problema palestinese da parte di Benjamin Netanyahu si è sempre contraddistinta per un atteggiamento ambiguo, fatto di promesse non mantenute ed un comportamento che ha favorito la crescita dei movimenti più radicali, quelli che hanno sempre negato la legittimità dell’esistenza di Israele e dell’ipotesi dei due stati, a discapito di quelli moderati, che potevano favorire il dialogo, ma a discapito della politica della espansione delle colonie; infatti la ricerca effettiva di un accordo che poteva favorire il raggiungimento dello scopo dei due stati, avrebbe penalizzato la politica dell’estrema destra che fa della illegittima espansione coloniale, illegittima perché al di fuori del diritto internazionale e del buon senso, il proprio programma politico. La posizione politica e la sensibilità di Netanyahu si è sempre più spostata a destra, raccogliendo nei vari esecutivi che si sono susseguiti movimenti e partiti sempre più radicali, che con la loro azione hanno favorito la crescita di simili sentimenti degli ambiti palestinesi, con una crescita dei movimenti radicali, tra i quali è emersa la leadership di Hamas. Di pari passo, però, la situazione personale di Netanyahu è peggiorata a causa di diversi problemi con la giustizia del suo paese e lo spostamento sempre più a destra delle sue posizioni politiche, che ha messo al centro l’azione antipalestinese ha costituito, sia in ambito interno che internazionale, un motivo di distrazione molto forte dalle sue incriminazioni giudiziarie. Attualmente, nella fase della guerra di Gaza, la sensibilità del paese verso Netanyahu è fortemente negativa, per l’attacco ai kibbutz l’opinione pubblica vede proprio in Netanyahu il maggiore responsabile, ma la situazione di emergenza ne impedisce la sostituzione, anche se è stato più volte sottolineato che dopo la fine della guerra di Gaza per l’attuale premier non ci dovrà essere più alcun futuro politico. Intanto, però viene permesso un atteggiamento sempre più aggressivo dei coloni in Cisgiordania e sul futuro di Gaza sono lecite diverse domande. All’inizio dell’invasione delle truppe israeliane, la volontà dichiarata era quella di annientare Hamas e lasciare la situazione della Striscia invariata, ma col procedere del conflitto sembra emergere una volontà non esplicitamente dichiarata di volere esercitare un controllo effettivo sul territorio. Ciò implicherebbe la negazione dell’autonomia politica ed amministrativa dei palestinesi che avranno la fortuna di restare in vita di fronte alla repressione brutale che Israele sta compiendo sulla popolazione civile. Una soluzione estrema potrebbe essere lo spostamento degli abitanti di Gaza verso il Sinai, soluzione a cui l’Egitto si è sempre detto contrario, liberando così una porzione consistente di territorio da destinare a nuovi coloni. Non si tratta di una eventualità impossibile, proprio perché i sopravvissuti di Gaza sono alla completa mercè delle forze armate israeliane, non difese da alcuno stato o organizzazione internazionale, in grado di contrapporsi, anche politicamente, a Tel Aviv. Il fatto che si tratti di popolazione civile, che ha già pagato con un tributo di oltre 18.000 morti, l’intera distruzione dei loro averi, la fame e le malattie, non produce altro che una solidarietà a parole, dove primeggiano proprio i paesi arabi interessati ad avere relazioni internazionali con Israele. Alla fine il dubbio legittimo è questo: se Netanyahu dovesse allargare il dominio israeliano su Gaza ed aumentare lo spazio territoriale delle colonie, cosa portata avanti impunemente, avrebbe decretato definitivamente la prospettiva dei due stati, un argomento particolarmente gradito a parte dell’opinione pubblica israeliana, e si sarebbe quindi creato una assicurazione in grado di preservargli un futuro politico tale anche da fargli superare i suoi guai giudiziari, insomma avrebbe una struttura da leader praticamente inattaccabile anche da quei partiti e movimenti, che ne auspicano la fine politica. Tutto questo sarà possibile? La soluzione passerà anche da come i principali attori internazionali vorranno comportarsi, adottando forme nuove di approccio alla questione palestinese.
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