L’Iraq, nonostante la sottovalutazione della stampa, è destinato a diventare un fronte molto importante del conflitto mediorientale e, specificatamente, del confronto tra USA ed Iran. La situazione, che le autorità irakene hanno definito di violazione della propria sovranità, ha visto reciproci attacchi tra Washington e Teheran, condotti proprio sul suolo dell’Iraq. L’Iran non sopporta la presenza militare americana ai suoi confini, sul suolo irakeno il regime degli Ajatollah è presente con milizie filo-iraniane, finanziate da Teheran, la cui presenza è ritenuta strategicamente importante, nel quadro delle azioni contro l’occidente ed Israele. Tra i compiti di queste milizie ci sono atti di disturbo contro le forze americane e quelle della coalizione contro i jihadisti, presenti sul suolo irakeno. Recentemente queste operazioni militari, in realtà già in corso da ottobre, hanno colpito basi americane con droni e razzi, provocando feriti nel personale statunitense e danneggiamenti delle infrastrutture delle basi. Pur senza la firma iraniana gli attacchi sono stati facilmente ricondotti a Teheran e ciò ha aggravato una situazione di contrasto capace di degenerare in maniera pericolosa. Gli USA hanno risposto, colpendo le Brigate Hezbollah, presenti sul territorio irakeno in una regione al confine con la Siria, provocando due vittime tra i miliziani; tuttavia altre vittime si sarebbero registrate in milizie scite, che sono entrate a fare parte dell’esercito regolare irakeno. Queste ritorsioni americane hanno suscitato le proteste del governo di Bagdad, che è stato eletto grazie ai voti degli sciiti irakeni e che teme la reazione dei propri sostenitori. L’accusa di violazione della sovranità nazionale, se appare giustificata contro le azioni di Washington, dovrebbe valere anche contro Teheran, in quanto mandante degli attentati contro le installazioni americane e, allargando il discorso, anche contro i turchi, che hanno condotto più volte azioni contro i curdi, cosa, peraltro imitata dagli iraniani. La realtà è che la situazione attuale in Iraq, ma anche in Siria ed in Libano, da parte degli israeliani, vede una continua violazione delle norme del diritto internazionale in una di serie di guerre non dichiarate ufficialmente, che sfuggono alla prassi prevista dalla legislazione internazionale. Questa situazione presente il rischio maggiore di una estensione del conflitto mediorientale, capace di provocare la deflagrazione di una guerra dichiarata, come fattore successivo a questi episodi, purtroppo sempre più frequenti, di conflitti a bassa intensità. Lasciare l’Iraq fuori da un conflitto appare determinante per evitare un conflitto mondiale, la posizione geografica del paese, tra le due maggiorie contrapposte potenze islamiche, porterebbe ad un confronto diretto, che avrebbe come prima conseguenza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e la possibilità, per Teheran, di avvicinare le sue basi missilistiche ad Israele. Uno dei maggiori protagonisti, per evitare questa pericolosa deriva è il primo ministro iracheno Mohamed Chia al-Soudani, che pur godendo dell’appoggio dell’elettorato sciita, ha bisogno di preservare i legami tra Bagdad e Washington. In realtà questi legami, nelle intenzioni del premier irakeno dovrebbero essere soltanto di natura diplomatica, giacché circa la presenza della coalizione militare internazionale, il capo dell’esecutivo ne ha più volte sottolineato il ritiro per favorire le condizioni di stabilità e sicurezza dell’Iraq. La questione è però di difficile soluzione: con la presenza di milizie finanziate ed addestrate nel paese, l’Iraq rischia di perdere la propria indipendenza, garantita proprio dalla presenza delle forze occidentali; se il paese irakeno cadesse nelle mani di Teheran sarebbe un grosso problema di natura geopolitica per Washington, che deve per forza mantenere il proprio presidio sul suolo irakeno, fatto rafforzato dalla questione di Gaza, che ha provocato le azioni degli Houti e l’autoproclamazione da parte di Teheran di difensore dei palestinesi, nonostante la differenza religiosa. Bagdad è diventata così una vittima indiretta della situazione che si è creata a Gaza, dopo avere attraversato tutta la fase della presenza dello Stato islamico, peraltro ancora presente in determinate zone. Per disinnescare questo rischio occorrerebbe uno sforzo diplomatico della parte più responsabile di quelle in causa: gli USA; tale sforzo diplomatico dovrebbe essere diretto, non tanto verso l’Iran, ma verso Israele per fermare la carneficina di Gaza, favorire gli aiuti alla popolazione, anche con l’utilizzo di caschi blu dell’ONU ed accelerare, anche in maniera unilaterale la soluzione dei due stati, l’unica capace di fermare l’escalation internazionale ed eliminare ogni scusa per creare i presupposti dell’instabilità regionale.
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