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giovedì 4 aprile 2024

La strategia di Israele: raid in Siria, fame a Gaza.

 L’avere colpito la sede consolare iraniana in Siria e l’organizzazione che portava cibo nella striscia di Gaza, sono due episodi, che presentano analogie da non sottovalutare nella strategia israeliana di medio periodo. Nella guerra, così detta per procura, tra Tel Aviv e Teheran, avere colpito una sede iraniana in territorio straniero rappresenta un nuovo livello per Israele; uno degli obiettivi principali può essere cercare un allargamento del conflitto che implichi un maggiore coinvolgimento degli USA a favore degli israeliani, soprattutto dopo che il presidente Biden ha preso le distanze dai metodi praticati  a Gaza; sebbene Washington ha affermato di non essere stata avvertita dell’attacco israeliano, il governo di Tel Aviv sembra avere usato questo attacco per indurre gli iraniani a condannare sia Israele, che gli USA, in modo da obbligare gli americani ad un appoggio obbligato contro il regime iraniano. Questa tattica presenta la chiara intenzione di temporeggiare in attesa degli esiti elettorali statunitensi, dove una eventuale affermazione di Trump è vista come maggiormente favorevole alla causa israeliana, tuttavia il rischio di un allargamento del conflitto, è implicito nell’azione di Tel Aviv e questo comporta ulteriori problemi commerciali ancora maggiori nel Golfo Persico, di cui Israele dovrà, prima o poi, rendere conto. Non solo, è ipotizzabile un coinvolgimento di altri attori, sia in maniera indiretta, che diretta, in un allargamento della crisi mediorientale, bisogna ricordare che il maggiore alleato della Siria, oltre all’Iran, è la Russia, anche se nella situazione attuale non pare possibile un coinvolgimento diretto di Mosca, appare possibile un legame sempre più stretto tra Teheran e Russia, con collaborazioni sempre maggiori, soprattutto nel settore degli armamenti, con effetti diretti su altri conflitti in corso. Una degli sviluppi più prevedibili è l’incremento delle azioni delle milizie vicine agli iraniani, sia contro Israele, che contro le basi americane presenti in Medioriente. Il raddoppio del fronte, oltre a quello di Gaza, anche quello siriano, sul quale Israele si dovrà misurare è funzionale al governo in carica ed al suo Primo ministro, che non vuole elezioni, che perderebbe sicuramente e darebbero il via a procedimenti giudiziari in cui è implicato. Quello che si sacrifica, non solo agli interessi israeliani, ma a specifici interessi politici di parte è la pace nella regione mediorientale ed anche mondiale, andando a creare i presupposti per una instabilità totale. Se per tenere in apprensione gli USA non si è esitato ad andare contro il diritto internazionale, colpendo in un paese terzo, seppure alleato degli iraniani, sul fronte di Gaza l’errore di avere colpito una Organizzazione non governativa, appare altrettanto funzionale agli interessi di Tel Aviv: infatti altre due organizzazioni hanno annunciato che lasceranno la Striscia di Gaza, per la situazione troppo pericolosa per il loro personale; ciò significa la sottrazione di ingenti forniture di cibo ad una popolazione già duramente provata dalla scarsità dei generi alimentari ed in precarie condizioni igienico sanitarie. La situazione, che viene aggravata dall’assenza delle organizzazioni non governative, colpisce, oltre alla popolazione civile, anche Hamas, che, oltre alla sempre maggiore distanza dagli abitanti di Gaza, non può usufruire degli aiuti internazionali; tuttavia questo elemento è solo un’aggiunta alla normale condotta di Israele, che ha intrapreso da tempo, già ben prima dei fatti del sette ottobre, una politica di gestione delle risorse alimentari da destinare alla Striscia di Gaza, con evidenti intenti regolatori al ribasso. Nel 2012, a seguito di una organizzazione per i diritti umani, Tel Aviv è stata costretta a pubblicare un proprio documento del 2008, dove venivano previste le calorie a persone da concedere agli abitanti della Striscia, alimenti che escludevano quelli ritenuti non essenziali. Malgrado le scuse obbligate delle forze armate israeliane, le modalità con cui sono stati colpiti gli automezzi dell’organizzazione non governativa, lasciano non pochi dubbi sulla volontarietà di bloccare una missione, con le ripercussioni ovvie, che si sono puntualmente verificate. Serve a poco dire che il clamore suscitato è dovuto a vittime occidentali, per modalità analoghe, che hanno provocato più di 30.000 morti civili, non ci sono neanche state le scuse. I paesi civili dovrebbero sanzionare Israele per questa condotta impunita. 

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