Politica Internazionale

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giovedì 17 febbraio 2011

Sud Sudan: situazione in attesa della proclamazione ufficiale

Nonostante il referendum, svoltosi in maniera pacifica, si sia risolto praticamente all'unanimità, il Sud del Sudan continua ad essere travagliato dalla violenza. Nella zona petrolifera di Fangak, teatro di scontri tra milizie avversarie sono stati circa 200 i morti nell'ultima settimana. Pagan Amun, segretario generale del Movimento di liberazione del popolo sudanese, partito politico nato dalle ceneri dell'esercito di liberazione del Sud Sudan, ha dichiarato che la responsabilità dei caduti, in gran parte civili inermi, è da ascrivere alle milizie di George Athor, che ha lanciato una serie di attacchi militari per portare instabilità dopo ess ere stato sconfitto alle elezioni dello scorso anno per la carica di governatore di Jongley. L'atto terroristico è solo l'ultimo di una serie di attentati ed attacchi reciproci tra le milizie di Athor ed Amun avvenute dopo la firma della tregua recente ma subito violata con accuse reciproche di violazione da ambo le parti. La situazione Sud Sudanese continua così ad essere difficile ed oltre alle questioni interne, continua a tenere banco il problema del confine con il Sudan, con la frontiera che per un quinto risulta essere ancora oggetto di contestazione e trattativa. Ma il nodo centrale resta il petrolio, l'attuale accordo con Khartoum prevede la ripartizione degli utili al 50% tra i due paesi, ma con la proclamazione ufficiale del Sud Sudan, che sarà il 54° stato del continente africano, il nuovo paese intende avere la totalità dei guadagni come proprio appannaggio, pagando le quote relative ai diritti di utilizzo degli oleodotti di Khartoum, indispensabili per raggiungere il mercato internazionale. Tuttavia i dirigenti Sud Sudanesi sono ottimisti per la risoluzione delle problematiche sul tappeto e si preparano, con tutto ilpaese, a festeggiare il 9 luglio, la proclamazione ufficiale dell'indipendenza, confermando il nome previsto: Sud Sudan, preferito a Repubblica del Nilo o a Kush, nome di un antico e leggendario stato africano.

Internet luogo di lotta politica

La protesta libica corre sul filo di internet ed il colonnello Gheddafi denuncia i social network come minaccia imperialista. Sarebbe singolare se la dittatura del leader libico cadesse per le comunicazioni che avvengono attraverso i router di fb, dopo tutti gli sforzi fatti in quarant'anni per bloccare tutte le voci contrarie al regime. L'aspetto informatico sta assumendo l'importanza di un'arma strategica di grande portata in tutte le proteste che si stanno espandendo a macchia d'olio dal nord africa. Non è stato infrequente che il regime di turno oggetto di protesta bloccasse le comunicazioni informatiche e degli sms. La diffusione dell'alfabetizzazione informatica rappresenta una rivoluzione nell'arena della lotta per la libertà, consentendo lo scambio di notizie e la velocità degli appelli per cortei ed adunate. Quello che sorprende è che i regimi non abbiano intuito la portata e la pericolositàdei nuovi mezzi di comunicazione. E' come se, arroccati nella difesa del loro status quo, i dittatori abbiano considerato i loro sudditi incapaci di evolversi perchè tenuti nella completa ignoranza; ma se questo ha funzionato per le generazioni precedenti, cui peraltro bastava bloccare la libertà di stampa, vietare i libri scomodi e passare in tv solo programmi consenzienti, non è stato sufficiente per le ultime generazioni, alle quali l'accesso ai mezzi informatici, grazie al basso costo ed al facile utilizzo, ha consentito di elaborare proprie valutazioni al di fuori dei paletti messi dai regimi. L'accesso a dati ed idee ha permesso la costruzione di una nuova coscienza civile e di una autocoscienza di popolo, una identità condivisa al di fuori dei valori imposti dall'alto. Fino adesso questo aspetto della rete non è stato indagato, ma ora esistono casi pratici destinati a divenire casi di scuola, alla frontiera del guadagno economico si affianca il guadagno politico come beneficio indotto per la democrazia e costo secco per i regimi dittatoriali.

mercoledì 16 febbraio 2011

La situazione belga monito per l'Europa

La situazione belga, il paese è senza governo da otto mesi, rischia di portare alla dissoluzione del paese. Il mancato accordo è dovuto alla divisione regionale tra la parte fiamminga con quella vallone, la soluzione della crisi anzichè essere per divergenze tra tradizionali parti politiche, destra-sinistra o conservatori-progressisti, è impedita da basi territoriali e di identità culturale e linguistica. L'ostacolo appare ancora più insormontabile proprio per la radicalizzazione delle differenze, che vertono su queste basi. Il paese è bloccato da una impasse paralizzante e vive sulla amministrazione corrente senza l'ombra di una programmazione che permetta di intraprendere una qualche azione per individuare degli obiettivi. Nel continente europeo le spinte autonomiste sono state il fenomeno, che a partire dallo scorso decennio ed in alcuni casi anche prima, hanno contraddistinto la scena politica con la nascita di nuovi partiti e movimenti che hanno eroso consensi ai partiti tradizionali. La disgregazione degli stati, a parte il caso della separazione consensuale della Cecoslovacchia tra Repubblica Ceca e Slovacchia, unico caso di repubblica federale del blocco sovietico, è stata una costante dell'area balcanica, dove la separazione è stata determinata da atti violenti mirati contro interi gruppi etnici; ma si trattava di popolazioni tenute insieme in modo artificiale e forzoso da una guida carismatica, Tito, venuta a mancare la quale è mancato il collante che ne consentiva l'assemblaggio. Per le altre parti d'Europa la spinta dei movimenti autonomistici si è concretizzata nella lotta per la maggiore autonomia per i territori rappresentati, ma non vi sono state scissioni di parti di nazioni. Il caso Belga va invece controcorrente, la separazione rischia di avvenire per consunzione politica, in assenza di accordo per governare il paese, la scissione può diventare la strada obbligata per assicurare il proseguimento di una vita politico amministrativa normale. E' chiaro che un caso del genere nel cuore dell'Europa e sopratutto delle istituzioni europee risulta clamoroso. La situazione disorienta molto la popolazione, tanto che molti cittadini, sopratutto della provincia a sud richiede la cittadinanza lussemburghese in forza di una legge del Granducato esistente dal gennaio 2009. La preferenza dei cittadini belgi è giustificata da uno stato che presenta più sicurezze e stipendi più alti e garantisce un livello più alto dei servizi. Il costante aumento delle domande non preoccupa per ora il Lussemburgo che non vede pericoli di belgizzazione della sua nazione, tuttavia il segnale è forte e chiaro e vale per tutta l'europa: la mancata risoluzione dei problemi porta a soluzioni talvolta estreme da parte degli stessi cittadini.

Rivolte ed emergenze profughi: le carenze operative della UE

Lo sviluppo del fronte delle crisi si allarga: dopo la chiusura senza soluzione, per adesso, di quella egiziana, anche Bahrein e Libia entrano nel club; inoltre nello Yemen, in Iran, Algeria, Tunisia ed anche Marocco le manifestazioni si succedono. I fattori scatenanti sono stati individuati nell'eccessivo aumento dei generi alimentari, nell'aumento della povertà, nell'eccessiva corruzione e nella presa di coscenza della mancanza dei diritti civili. I regimi in carica, quando non sono caduti, hanno avviato severe repressioni sui dimostranti e sulla popolazione in generale, già fiaccata da situazioni enedemiche di povertà, aggravate dalla congiuntura economica internazionale. Ciò sta creando un nuovo esodo verso le coste italiane ed europee, non a caso il ministro degli interni della repubblica italiana ha parlato di situazione analoga a quella conseguente alla caduta del muro di Berlino. Siamo di fronte ad un effetto a catena determinato dalla sorpresa con cui le rivolte stanno accadendo; l'impreparazione generale dell'occidente ed in particolare dell'Unione Europea, ma anche dell'Italia, in quanto stato più prossimo al nord africa, di fronte allo sviluppo della situazione rischia di generare condizioni talmente gravi da essere difficilmente risolte. Aveva già sorpreso come le rivolte erano accadute in modo così inaspettato per la diplomazia, si era assistito a governi sbigottiti per il succedersi di eventi totalmente inattesi, che cercavano di comporre la situazione con dichiarazioni di facciata a metà tra il regime in carica ed i manifestanti nell'attesa della direzione che prendevano le rivolte. Ancora peggio trovarsi impreparati di fronte ad un'emergenza che di fatto risultava annunciata. Nel momento delle manifestazioni di piazza è possibile che i controlli siano stati allentati o che la determinazione dei migranti sia cresciuta, nel mezzo le organizzazioni criminali hanno individuato occasioni di guadagno ulteriore ed hanno potenziato i loro mezzi, tutte cause conclamate ma che non era difficile immaginare. Da aggiungere le difficoltà di comunicazione e di coordinamento tra organismi centrali della UE e singoli stati, nella fattispecie l'Italia, hanno causato la situazione attuale. Impossibile tornare indietro, tuttavia il caso deve servire da lezione: la UE deve essere più presente, anche con presidi fisici nelle zone calde, deve cioè, avere un maggiore coinvolgimento operativo e non solo legislativo, devono essere migliorate e velocizzate le procedure operative per situazioni di emergenza, deve essere potenziata e forse ripensata l'intelligence per diventare capace di elaborare previsioni efficenti sulla base delle quali costruire strategie anticipate ed infine i singoli stati devono migliorare la collaborazione con la UE instaurando comunicazioni continue sulle situazioni di crisi.

martedì 15 febbraio 2011

I Fratelli Musulmani richiedono il riconoscimento ufficiale

La mossa ufficiale è stata avanzata, come era atteso i Fratelli Musulmani chiedono il riconoscimento come partito politico per partecipare alla costruzione del nuovo Egitto che nascerà dalla caduta di Mubarak. Il movimento presente sulla scena da diversi anni era stato messo fuori legge già da Nasser per la sua visione confessionale della società. Nelle manifestazioni di piazza il supporto logistico ai manifestanti è stato concreto, con aiuti in alimenti e medicinali. Le richieste del movimento continuano chiedendo che il processo di transizione, seppur graduale, deve avere inizio il prima possibile per portare la nazione egiziana fuori dalla situazione di stallo politico ed economico attuale. La visioned ei Fratelli Musulmani non è unita, ma è composta di tre correnti che prevedono l'applicazione integrale della sharia, la creazione di uno stato islamico confessionale ed infine la collocazione partitica che porti avanti le idee islamiche nel quadro di uno stato laico. L'ultima corrente se pur minoritaria, è quella su cui conta maggiormente la parte della società egiziana che si dichiara laica, per dialogare con il movimento islamico. D'altronde le dichiarazioni ufficiali dei Fratelli Musulmani sembrano andare in questa direzione auspicando la creazione di uno stato democratico e civile in cui portare l'islamismo nel rispetto di ogni credo religioso e politico.

Cina: seconda economia del mondo

La Cina si avvicina al vertice dell’economia mondiale insediandosi al secondo posto, raggiunto grazie al sorpasso sul Giappone, che da ora è la terza economia mondiale. Non che per il paese del sol levante la situazione non sia positiva, tuttavia il boom dell’industria manifatturiera cinese è stata la ragione che ha determinato il nuovo podio. Nonostante il passaggio al numero tre in classifica il Giappone vede di buon occhio e considera di buon auspicio l’incremento cinese, anche per le sostanziose implicazioni nella regione del sud est asiatico, che stimolata dalla locomotiva di Pechino si candida ad essere una zona chiave per l’economia mondiale. I numeri cinesi però non sono tutti positivi la redistribuzione del reddito presenta elevate discrepanze e la qualità del rispetto dei diritti dei lavoratori è questione quotidiana di dissidi interni. A livello statale l’economia cinese ha valori altissimi, grande produttività, elevate riserve liquide e basso rapporto deficit/PIl, tuttavia se queste condizioni economiche restano nell’ambito dei livelli generali dello stato senza scendere alla popolazione appaiono soltanto fredde statistiche e danno la misura della stortura del sistema che si è venuto a creare. I successi economici non bastano a diventare una nazione con peso politico internazionale, in questo senso la Cina è ancora una grande incompiuta: senza che sia intrapresa una riforma sul tema dei diritti civili e politici, il precorso di trasformazione del paese resta troncato a metà. D’altro canto i dirigenti cinesi negli ultimi anni si sono preoccupati di trasformare l’economia sfruttando il gran numero di braccia a disposizione, puntando alla massima resa ottenuta senza l’applicazione, anzi stroncandola, dei diritti sociali. I primi scioperi cinesi, di cui si da poca o nulla pubblicità, segnalano che si è passati oltre alla prima fase della industrializzazione selvaggia; anche nella repubblica popolare si sta sviluppando un movimento che ha avuto il suo culmine con la consegna del premio Nobel per la pace ad un dissidente cinese. Nonostante l’aspetto granitico del sistema le prime crepe si stanno aprendo con le prime concessioni sulla legislazione del diritto del lavoro, specialmente in tema di sicurezza. Non è ancora molto ma il percorso pare inesorabile.

Afghanistan, Pakistan ed India: il punto della situazione

I delicati equlibri al confine tra Afghanistan e Pakistan sono oggetto di sviluppi giudicati importanti dagli analisti internazionali. La situazione interna ad Islamabad è in continua evoluzione, dopo le dimissioni del governo un nuovo esecutivo ha già prestato giuramento, ma il segnale è è di forte instabilità ed il paese appare sempre più in preda a divisioni profonde. La situazione preoccupa gli Stati Uniti, che hanno focalizzato la lotta al terrorismo lungo la frontiera tra Afghanistan e Pakistan, regione dove trovano rifugio le bande dei Talebani. Inoltre le relazioni tra Pakistan ed USA, che sono da tempo tese per l'atteggiamento giudicato ambiguo dei pakistani, sono in questi giorni aggravate dal caso di un diplomatico statunitense imprigionato per avere ucciso due cittadini pakistani (l'accusato afferma di avere agito per legittima difesa). Intanto gli USA in Afghanistan continuano, oltre a quello militare, il lavoro diplomatico congiunto con il governo di Karzai per ridurre la minaccia talebana, in vista del ritiro definitivo delle truppe previsto per il 2015. La situazione afghana è lontana da essere risolta, tanto che una possibilità è di mantenere basi permanenti per affiancare l'esercito nazionale. I talebani dal canto loro pongono come condizione per l'avvio dei colloqui il ritiro immediato delle truppe. La situazione è di stallo ma nello scenario irrompe l'India, che teme di essere coinvolta all'interno del proprio territorio da uno sconfinamento del fenomeno delle milizie talebane, favorite da possibili accordi da cui potrebbero trarre vantaggi. Per prevenire questo pericolo l'India lancia una strategia diplomatica che prevede trattative con il Pakistan, tradizionale avversario. La ripresa dei rapporti tra i due stati è una nota positiva nella situazione della regione ed è vista molto favorevolmente dagli Stati Uniti, che sperano di avere benefici indiretti dalla ripresa delle relazioni in un clima di distensione a distanza di due anni dagli attentati di Mumbai, dietro i quali l'India aveva visto la mano dei servizi pakistani.