Politica Internazionale

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martedì 1 marzo 2011

Le vie di uscita di Gheddafi

La difficile situazione libica squarcia il velo sulla tattica di Gheddafi per uscire in qualche modo dall'impasse che si è creata. Mantenendo Tripoli il dittatore rimane con un territorio sotto la sua potestà, che ne fa ancora un governante in carica; ciò può permettergli una qualche possibilità di trattativa, sia con gli insorti che con la comunità internazionale. Tripoli resta un punto chiave nello scacchiere delle migrazioni e mantenerne il controllo significa avere ancora un potere di ricatto. La situazione di stallo è dovuta alla divisione dell'esercito, qui non siamo in Egitto, dove le forze armate, astenendosi, hanno di fatto determinato la vittoria della rivolta. L'esercito libico si è diviso, con Gheddafi le forze armate attorno a Tripoli, più i mercenari, e gran parte dell'aviazione, anche in forza del fatto che l'arma aerea è in mano alla tribù più vicina al dittatore; con gli insorti i militari di Bengasi e Tobruk. Di fatto a questa divisione corrisponde la ripartizione del paese in questo momento. Esistono difficoltà logistiche che ostacolano l'appoggio dei ribelli cirenaici a quelli di Tripoli, la distanza, 900 chilometri, è il primo di questi. Peraltro Gheddafi può contare su risorse finanziarie ingenti che permettono di pagare forze mercenarie consistenti ed anche i depositi di armi sono forniti per una guerra di tipo convenzionale come quella in corso. Tuttavia, nonostante i tentativi di sfondamento le truppe del dittatore non possono riconquistare il terreno perduto, l'organizzazione ed il numero degli insorti non permettono previsioni rosee per Gheddafi. Il leader libico può quindi solamente puntare sul mantenimento delle proprie posizioni, con una guerra di logoramento che gli permetta di arrivare ad una contrattazione con gli insorti per sfinimento, e di conseguenza intavolare un negoziato internazionale che gli permetta una via d'uscita. I prossimi sviluppi diranno in quale direzione saranno dirette le possibili soluzioni.

Turchia: il PKK annuncia il cessate il fuoco

Il PKK, partito Curdo, annuncia, unilateralmente il cessate il fuoco in Turchia. E' un fatto nuovo nelle relazioni tra i curdi della Turchia, potrebbe rappresentare la volontà di cercare soluzioni alternative al processo di indipendenza del popolo curdo. La questione curda, con questa mossa, pare dirigersi verso una strategia pacifica anche alla luce del buon momento dell'economia turca, di cui trae beneficio la zona curda: il benessere che si sta diffondendo favorisce una visione meno violenta della questione. In Turchia si apprende con qualche perplessità questo passo, non si ancora sicuri della veridicità della decisione, la strategia della tensione creata dai Curdi ha lasciato strascichi pesanti, tuttavia gli osservatori espserti della questione vedono con positività la decisione; anche se sono consapevoli che potrebbero esserci gruppi più piccoli di intransigenti che potrebbero staccarsi dal PKK per continuare, seppur in minoranza, la lotta armata. Lo stato turco, dal suo canto deve prevedere una soluzione che coinvolga forze politiche curde nell'alveo istituzionale, ora impossibilitate ai seggi per la norma che un partito può essere rappresentato se passa la soglia del 10% dei suffragi. La norma era stata varata anche per escludere in forma legale rappresentanti dei curdi, ma la novità del cessate il fuoco può essere colta come segno di buone intenzioni ed aprire a nuove soluzioni per le istanze del popolo curdo, coinvolgendolo nelle istituzioni di Istanbul.

La democrazia come fattore per sconfiggere il terrorismo islamico

Una delle implicazioni, non secondarie, anzi, delle rivoluzioni nei paesi arabi è che il coinvolgimento diretto del popolo nel processo di democratizzione toglie materia prima all'incremento dell'integralismo islamico, che spesso sfocia nel terrorismo. Il meccanismo di reclutamento delle organizzazioni terroristiche parte dalla raccolta tra i più poveri, che, attraverso l'indottrinamento delle scuole coraniche passano nelle fila dei martiri imbottiti di tritolo. La ricostruzione, semplificata, indica come il materiale umano venga pescato tra situazioni di povertà e mancanza di organizzazioni statali, che non forniscono altra alternativa alle scuole coraniche ed ad una visione limitata e manichea tra bene e male. Senza una offerta articolata di mezzi sociali, tra cui media, organizzazioni ricreative ma anche una rete sociale a cui dovrebbe sovrintendere lo stato, il cittadino delle dittature è preda dell'unica offerta disponibile che spesso coincide con l'anticamera del martirio. Le dittature tengono nell'ignoranza i propri popoli, non consentendo, se non in forma clandestina, una crescita sociale come cittadini; ciò ha permesso un controllo totale e costante delle possibili opposizioni ma nel contempo ha favorito il terreno di coltura delle organizzazioni terroristiche, che hanno facilmente accolto nel loro seno gli arrabbiati ed gli scontenti. Del resto sono proprio le dittature che spesso hanno fatto perno sulla dicotomia male-bene occidente-paesi arabi, creando quella visione manichea di facile presa su masse forgiate in ambienti senza alcuna rete sociale e di fatto spianando la strada alla filosofia di base delle organizzazioni terroristiche islamiche. La novità delle rivoluzioni è la partecipazione delle masse, una partecipazione dal basso dove l'elemento religioso è parte ma non la maggior parte, e comunque l'aspetto integralista è rimasto limitato. Gli aspetti sociali che hanno favorito i moti sono essenzialmente di due fattori: l'emigrazione nei paesi occidentali, che ha permesso di ampliare le conoscenze sul campo delle democrazie avanzate, seppure con tutte le difficoltà del caso, e permettendo di conseguenza la creazione di una coscienza critica che ha elaborato una visione finalmente chiara della situazione; poi le novità tecnologiche, giunte al fattore di cui sopra, sono state il braccio per attuare i propositi di libertà. L'occidente deve comprendere questo meccanismo ed investire su di esso: solo così si potrà aprire una fase nuova nel mondo in cui viviamo.

lunedì 28 febbraio 2011

Chavez avverte le opposizioni: in Venezuela non sarà come in Egitto

La paura che le proteste valichino l'0ceano e vadano a colpire i regimi, deve essere stata presa in grande considerazione da Chavez, che in discorso pubblico ha affermato che in Venezuela non succederà come in Egitto e negli altri paesi arabi. Il solito ritornello della responsabilità americana, buono per ogni occasione ha fatto capolino dal palco del comizio del presidente del Venezuela. Chavez ha affermato che è errato paragonare la situazione della sponda sud del Mediterraneo, come un possibile sviluppo anche in Venezuela, ma che il paragone corretto è con quello successo con la sua ascesa al potere, portatrice di libertà e democrazia nel paese. Riguardo alla Libia, non ci sono state parole di condanna, ma soltanto di augurio per una pacificazione nazionale perseguita senza la violenza. La posizione di Chavez all'interno del panorama della politica estera è spesso sbilanciato verso nazioni ritenute pericolose, come l'Iran, a cui fornisce prodotti derivanti da raffinazione. Sul fronte della politica interna Chavez ha dovuto spesso avere a che fare con scioperi e critiche per la sua politica definita populista; sicuramente l'affermazione che in Venezuela non succederà come in Egitto, suona come avvertimento al fronte interno delle opposizioni.

L'Arabia Saudita circondata dai paesi in protesta

Anche nel sultanato dell'Oman, paese affacciato sul Golfo Persico, si comincia a manifestare per i diritti civili. Il paese è una monarchia assoluta dove non sono ammessi i partiti politici ed il sultano detiene tutti i poteri. La particolarità di questa protesta, oltre al fatto di segnalare la presenza di un'opposizione, è che l'Oman era l'ultimo paese confinante con l'Arabia Saudita a non essere toccato da manifestazioni ostili al regime. Ora la monarchia petrolifera più importante del mondo si trova accerchiata dal malessere sociale presente negli stati confinanti. Il regnante va avanti con un piano timido di riforme politiche e sociali, in uno stato dove il bilancio statale non è diviso dal patrimonio della famiglia reale e dove il diritto di voto è solo per i cittadini maschi di almeno 21 anni. Il controllo pregnante della società assicura il regime contro gli oppositori, tuttavia la presenza di gruppi di manifestanti e di episodi di protesta in ogni paese confinante, con la facilità e la velocità della circolazione delle idee assicurata dalle nuove tecnologie mette apprensione a Riyadh. Da tenere presente la presenza di nutriti gruppi di Al Qaeda sul territorio saudita, che potrebbero soffiare sul fuoco e fomentare lo scontento. Pur essendo su posizioni integraliste, l'Arabia Saudita, è sempre stato un fedele alleato degli USA, nonostante contribuisca con ingenti donazioni allo sviluppo dell'Islam nel mondo, finanziando anche gruppi non proprio moderati. Per il momento non pare probabile l'uscita allo scoperto di una eventuale opposizione, ma non è da credere che la società civile saudita sia impermeabile al vento della protesta.

Gli USA protagonisti dell'azione diplomatica per la Libia

La situazione libica continua ad essere grave, mentre a Tripoli si continua a combattere ed il regime rimane asserragliato nelle sue roccaforti, Bengasi prova a darsi un autogoverno che permetta di smarcarsi, anche con una struttura politica, dal regime dittatoriale. A questo neonato governo della Cirenaica serve subito un riconoscimento internazionale per accreditarsi sul panorama diplomatico, in questo senso si è espressa positivamente la segretaria di stato USA, Hillary Clinton, che pensa ad un'azione congiunta con la Russia, la UE ed alcuni pesi arabi per inviare aiuti ai ribelli. Il primo passo potrebbe essere la tanto auspicata zona di non volo, che darebbe fondamento giuridico alle ritorsioni ad eventuali tentativi di bombardare i rivoltosi da parte dell'aviazione di Gheddafi. In questa fase gli Stati Uniti dimostrano di essere di gran lunga ancora il paese più importante nel panorama diplomatico, prendendo l'iniziativa sulle proprie spalle e coordinando una platea di stati timidi nell'azione contro il dittatore di Tripoli. La manovra statunitense ha l'evidente obiettivo di cercare di accreditarsi come partner affidabile alla nascente nuova nazione libica. Obama in questo frangente mira a non essere inquadrato come esportatore forzoso di democrazia, invertendo la tattica di Bush jr., ma di essere soltanto un sostenitore dei popoli in rivolta per rovesciare la dittatura. Sia dal punto di vista politico, che da quello economico, la nuova tattica americana pare quella vincente e più sostenibile, del resto uno degli obiettivi dichiarati del presidente degli USA, è quello di cercare di mettere sotto una nuova luce il paese a stelle e strisce, senza, peraltro, sconvolgere la politica estera americana, che continua nel solco dell'atlantismo. Certo dopo la caduta dell'impero sovietico, il basso profilo della Cina, anche per il fatto di non essere essa stessa una democrazia e l'incompiutezza della UE, gli USA restano l'unica grande potenza globale, con il compito di esercitare il ruolo di gendarme del mondo, colmando anche il vuoto delle organizzazioni sovranazionali. L'attivismo in campo diplomatico segnala che gli USA hanno deciso di giocare fino in fondo la propria partita.

domenica 27 febbraio 2011

A Marzo per l’Egitto referendum costituzionale

Rappresentanti delle forze armate egiziane hanno indicato la data di fine marzo per il referendum costituzionale che dovrebbe dotare l’Egitto della sua carta fondamentale. La commissioni di giuristi che sta redigendo la bozza costituzionale ha previsto per la carica di presidente della repubblica la regola di limitare i mandati a due per singolo eletto, con un periodo di valenza di quattro anni. Questo disposto ribalta la norma voluta da Mubarak che non prevedeva alcun limite alla rieleggibilità, con un periodo in carica di sei anni. Una condizione posta dai militari è stata il giudizio su di ogni elezione da sottoporre ad una commissione giudiziaria. Con questa norma si vuole, da un lato limitare e controllare la possibilità di brogli, ma dall’altro si tiene aperta una porta ad un qualsiasi esito non gradito alle forze armate. Intanto il presidente della Lega Araba Amr Moussa annuncia la sua intenzione di candidarsi alla presidenza della repubblica nelle prime elezioni libere in programma.