Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 22 marzo 2011
La Libia spacca le diplomazie
La guerra libica rischia di fare, oltre purtroppo ai civili, una vittima illustre: la diplomazia. Dopo la morte dell'asse Berlino-Parigi, l'epidemia pare allargarsi in maniera contagiosa, andando a colpire rapporti che parevano consolidati e mettendo in pericolo sviluppi futuri. La situazione è di totale confusione, tutti accusano tutti e molti vogliono, od hanno già fatto, fare un passo indietro. E' il caso della Norvegia, che ha già ritirato i suoi aerei proprio per la mancanza di chiarezza sulla catena di comando. Gli USA, condizionati da una opinione pubblica ostile e gravati da altri problemi, hanno già annunciato che faranno retromarcia in sostanza perchè la guerra non si risolverà in modo rapido. L'Italia senza ombrello della NATO, minaccia di rifutare l'uso delle sua basi, fondamentali per la logistica dell'operazione; ma nella NATO, Germania, Polonia e sopratutto Turchia sono contrarie all'operazione e senza la decisione unanime del consiglio l'Alleanza Atlantica non può entrare in azione, non essendo i ribelli di Gheddafi stato membro, condizione che farebbe scattare automaticamente il coinvolgimento nelle operazioni militari. La via più probabile pare un comando franco-inglese, ma se così sarà le defezioni saranno molte. In generale quello che non piace è stato l'eccessivo decisionismo francese, che ha scavalcato ogni forma di collegialità e di intesa andando a spaccare un già incrinato insieme diplomatico. Aldilà delle ragioni umanitarie condivisibili, la mossa di Sarkozy ha il sapore di vecchio colonialismo, è pur vero, che l'intervento militare si era ormai reso necessario per la piega presa dagli eventi, ma la Francia non ha insistito nella via diplomatica, prima, ed ha esagerato, dopo, nell'accentrare su se stessa, di fatto, il comando sia militare che politico delle operazioni. Inoltre sul piano mondiale la Russia e la Cina sono sempre più contrarie all'opzione militare ed i dubbi della Lega Araba non fanno che aumentare le perplessità. La Francia sta rischiando grosso ed alla fine potrebbe essere quella a pagare di più sulpiano diplomatico, se i tempi della guerra non saranno brevi.
La Libia spacca le diplomazie
La guerra libica rischia di fare, oltre purtroppo ai civili, una vittima illustre: la diplomazia. Dopo la morte dell'asse Berlino-Parigi, l'epidemia pare allargarsi in maniera contagiosa, andando a colpire rapporti che parevano consolidati e mettendo in pericolo sviluppi futuri. La situazione è di totale confusione, tutti accusano tutti e molti vogliono, od hanno già fatto, fare un passo indietro. E' il caso della Norvegia, che ha già ritirato i suoi aerei proprio per la mancanza di chiarezza sulla catena di comando. Gli USA, condizionati da una opinione pubblica ostile e gravati da altri problemi, hanno già annunciato che faranno retromarcia in sostanza perchè la guerra non si risolverà in modo rapido. L'Italia senza ombrello della NATO, minaccia di rifutare l'uso delle sua basi, fondamentali per la logistica dell'operazione; ma nella NATO, Germania, Polonia e sopratutto Turchia sono contrarie all'operazione e senza la decisione unanime del consiglio l'Alleanza Atlantica non può entrare in azione, non essendo i ribelli di Gheddafi stato membro, condizione che farebbe scattare automaticamente il coinvolgimento nelle operazioni militari. La via più probabile pare un comando franco-inglese, ma se così sarà le defezioni saranno molte. In generale quello che non piace è stato l'eccessivo decisionismo francese, che ha scavalcato ogni forma di collegialità e di intesa andando a spaccare un già incrinato insieme diplomatico. Aldilà delle ragioni umanitarie condivisibili, la mossa di Sarkozy ha il sapore di vecchio colonialismo, è pur vero, che l'intervento militare si era ormai reso necessario per la piega presa dagli eventi, ma la Francia non ha insistito nella via diplomatica, prima, ed ha esagerato, dopo, nell'accentrare su se stessa, di fatto, il comando sia militare che politico delle operazioni. Inoltre sul piano mondiale la Russia e la Cina sono sempre più contrarie all'opzione militare ed i dubbi della Lega Araba non fanno che aumentare le perplessità. La Francia sta rischiando grosso ed alla fine potrebbe essere quella a pagare di più sulpiano diplomatico, se i tempi della guerra non saranno brevi.
lunedì 21 marzo 2011
Il Bahrein denuncia un complotto estero
Il Bahrein annuncia di essere vittima di un complotto straniero. Secondo il Re Hamad ben Issa Al Khalifa, la popolazione scita, che è la maggioranza all'interno del piccolo regno, posto in posizione chiave, sarebbe stata fomentata da potenze straniere, con l'intento di rovesciare il governo legittimo. Il Bahrein è uno stato in posizione strategica per il controllo del traffico delle petroliere e delle navi mercantili dirette al canale di Suez ed inoltre è la sede della flotta USA nel Mar Rosso. Nessuna accusa esplicita è stata fatta, ma si può capire che il sospetto cada sull'Iran, che ha più volte condannato il trattamento degli sciti ed anche l'invio di mille militari sauditi, in rinforzo delle forze armate di Manama. L'Iran, scita, ha una visione religiosa differente, seppur nel solco musulmano, rispetto ai sunniti, ed una vecchia rivalità con l'Arabia Saudita, di cui ritiene il Bahrein un'emanazione, proprio per la supremazia religiosa nell'ambito della religione di Maometto. In più l'Arabia Saudita è un alleato USA. L'ipotesi Iran potrebbe essere plausibile, data la gran presenza di sciti, su cui esercitare l'ascendenza per fare pressione sul governo del Barhein, nel quadro di allargamento della sfera di influenza della teocrazia scita, il sospetto di organizzare manifestazioni dall'esterno può essere contemplato; Teheran, insegue una mira, dove intende compattare più alleati possibili contro l'occidente e destabilizzare i suoi alleati può rientrare nel progetto.
Amministrative francesi: astensionismo al 55%
Nonostante l'attivismo in Libia di Sarkozy, nel primo turno delle elezioni amministrative francesi il risultato più eclatante è l'astensionismo arrivato al 55%. Neanche la metà, quindi, dei francesi è andata a votare, una percentuale enorme, che segnala come la società civile francese sia tanto lontana dalla politica. La mera classifica vede in testa il Partito Socialista che prende circa il 25% dei voti, l'UMP (partito del presidente della Francia) il 17%, il Fronte nazionale di Marine Le Pen il 15%, il Fronte della Sinistra il 9% ed infine i Verdi l'8%. L'astensionismo si conferma sempre di più in Europa, dove i cittadini non riescono a riconoscersi nei partiti e neppure nella politica in generale, che non riesce a risolvere i problemi quotidiani. Una conseguenza della crisi economica (e della incapacità di risolverla) è proprio l'incremento dell'astensionismo, ultimo strumento in mano ai cittadini dopo il voto di protesta. Peraltro il voto di protesta va a prendere la piazza d'onore sul podio elettorale: così si spiega il trionfo dell'estrema destra lepeniana, che con questo risultato conferma la bontà dei sondaggi in mano a Marine Le Pen, che l'accreditano al primo posto per le consultazioni presidenziali. Anche in Francia la paura dell'emigrazione e la povertà dei ceti emarginati spinge a destra il paese, logica che si sta affermando in tutto il continente.
Libia: flussi migratori e creazione di due stati
Secondo alcune indiscrezioni l'Egitto starebbe fornendo armi ai ribelli libici. La contiguità territoriale tra la Cirenaica ed il paese dei faraoni favorisce questa sorta di alleanza tacita. A parte il fatto della simpatia tra popoli in rivolta, il calcolo dell'Egitto si basa sul fatto che in caso di vittoria di Gheddafi, l'esodo verso Il Cairo di profughi sarebbe ingestibile. Infatti la promessa mattanza del rais di Tripoli scatenerebbe la corsa alla frontiera e l'Egitto si troverebbe a gestire un'emergenza umanitaria oltre ogni ragionevole possibilità. D'altro canto un'annientamento totale, magari con una eliminazione fisica di Gheddafi, del regime libico, provocherebbe una emigrazione in senso contrario, con le persone compromesse con il rais a cercare una via di fuga. Dalla Tripolitania via terra il paese più vicino è la Tunisia, già provata duramente dal traffico dei profughi delle prime ondate dell'inizio del conflitto. Se l'Egitto non ha le capacità di sostenere una tale massa di migranti, per la Tunisia verrebbe addirittura a mancare lo spazio fisico. In questo caso la possibilità di fuga si volgerebbe necessariamente alla via marina, con l'Italia come destinazione più vicina. E' questa la perplessità maggiore dei partiti italiani, anche al governo, che si sono mostrati contrari all'intervento militare. Questo argomento è anche fonte di divisione tra i paesi comunitari, che per ora non intendono farsi carico dei migranti che arrivano in Italia, perchè ne ricevono un quantitativo maggiore da altre strade. E' chiaro che in caso di innalzamento del numero degli arrivi l'Europa si troverebbe, per forza di cose a dovere ridiscutere la distribuzione dei profughi. Resta il caso di un Gheddafi che riesce a scamparla e perde però, la Cirenaica, mantenendo la Tripolitania. Dal punto di vista delle correnti migratorie questa sembrerebbe la soluzione migliore, ma ci sarebbe il problema del controllo del rais, seppure con uno stato dimezzato. A quel punto, pare ragionevole pensare alla creazione di due stati, peraltro ciascuno caratterizzato da maggiore omogeneità tribale (l'unica struttura sociale presente in Libia), con l'obiettivo di fiaccare, tramite sanzioni ed isolamento, quello di Gheddafi, per arrivare gradualmente ad una sua messa in fuori gioco.
Mediterraneo ed Africa: obiettivi USA
Dietro la cortina fumogena alzata dalle bombe su Tripoli, occorre fare alcune considerazioni sulla decisione USA. Quello a cui stiamo assistendo è anche parte di una lotta tra le due superpotenze esistenti, per spartirsi le zone di influenza, ed in particolare l'Africa: USA, appunto e Cina. Siamo in una fase di trasformazione degli assetti geopolitici mondiali, dove il fattore energetico costituisce un fattore determinante. La Cina ha proceduto in questi anni investendo in infrastrutture e dando lavoro, nei paesi africani, sopratutto nella fascia equatoriale, in cambio delle risorse energetiche, è stata una sorta di invasione pacifica, che ha provocato una vera e propria zona di influenza cinese. Gli USA, hanno visto nella sponda sud del Mediterraneo un doppio obiettivo: non solo cercare di fare ricadere sotto la propria influenza i paesi arabi, ma anche prendere la supremazia del Mare Nostrum, giudicato obiettivo strategico per la politica americana. Se gli USA riusciranno a portare sotto la loro ala i paesi arabi mediterranei, conseguiranno un doppio risultato: controllo politico ed energetico di paesi potenzialmente in fase di crescita esponenziale, grazie alle loro ricchezze interne e che con la caduta delle dittature ed i conseguenti processi democratici, potranno fornire mercati praticamente vergini. Ma è l'aspetto politico il più importante: la fascia araba della sponda sud è determinante per gli equlibri cari agli USA, in chiave di protezione di Israele e come contrapposizione all'espansionismo che l'Iran cerca di portare avanti con i paesi di religione musulmana. Forse non era intenzione di Obama spingere sull'acceleratore militare, come è accaduto; ma la rapidità della Francia, rischiava di retrocedere gli USA ad una posizione arretrata nell'importanza politica nella regione. Si è così dato luogo ad un derby tra alleati, dove la posta in palio è l'influenza nel Mediterraneo, difficile cha la Francia la spunti.
domenica 20 marzo 2011
Le implicazioni dell'intervento
Dopo tanto temporeggiare, ora la tendenza sembra invertita, si assiste ad una rincorsa per non lasciare alla Francia l'esclusiva iniziativa militare in Libia. Sarkozy ha forzato la mano, dopo il mancato rispetto di Gheddafi della risoluzione ONU, in concomitanza con le elezioni amministrative francesi, andando anche più in la, colpendo i blindati libici, non soggetti alla zona di non volo. Qui è scattata subito la perplessità di vari soggetti internazionali, che avevano dato il loro benestare alla sola imposizione della zona di non volo, l'iniziativa francese è andata sicuramente oltre: il bombardare mezzi terrestri non era contemplato, questo al di fuori di ogni giudizio di merito. Cina e Russia si sentono raggirate, la loro astensione sulla risoluzione ONU ha permesso, di fatto, l'intervento in Libia, cui erano contrarie, ma non potevano, per ragioni umanitarie, quindi di facciata, votare palesemente contro; ora hanno le carte in mano per ribaltare la risoluzione. Lega Araba e Unione Africana, da favorevoli passano a criticare l'intervento: è un passo pericoloso per l'occidente, senza il sostegno di questi due soggetti si rischia una escalation diplomatica contro la legittimità dell'azione. Quello a cui si rischia di andare incontro, se non si risolve la guerra in tempi brevi, e ciò pare molto difficile, è di trovarsi contro i paesi arabi, o meglio, anche se favorevoli all'intervento i loro governi, di metterli in difficoltà con le loro opinioni pubbliche interne, in un momento di difficile gestione della loro stabilità perchè oggetto di rivolte. Ma nemmeno queste riflessioni bloccano le nuove adesioni, paesi incerti, dal punto di vista diplomatico, diventano interventisti di fronte alla prospettiva di restare indietro. Alla Francia, rapidamente si sono aggiunte: gli USA, la Gran Bretagna, l'Italia, la Danimarca, la Norvegia, il Canada ed il Qatar, che permette all'armata Brancaleone di potere dire che anche gli arabi sono della partita. Il fatto singolare è che ogni paese agisce, per ora di suo conto, non vi è, cioè, formalmente un comando unico, nemmeno, al momento, della NATO. Dal punto di vista del diritto internazionale è come se gli stati succitati, avessero dichiarato guerra alla Libia leale a Gheddafi; questo perchè si è andati oltre i paletti della risoluzione ONU. Certamente si può obiettare, che la situazione stava precipitando, ed era necessaria una rapida azione. Ma il tempo perso prima? Perchè non coordinarsi prima, al limite anche senza risoluzione ONU, senza dare l'impressione di schierare una forza abborracciata e sopratutto interessata? I dubbi sulle reali intenzioni non possono non venire, si è stati fermi in attesa degli eventi e, visto che la situazione non si risolveva (in una direzione o nell'altra), si è intervenuti per le mire dell'energia, per ribadire una leadership regionale appannata, per riprendere delle posizioni perse sul panorama internzazionale. In in quadro così frammentato, non sarà facile portare avanti il conflitto ed addirittura, potrà essere impossibile gestire il dopo.
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