Politica Internazionale

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lunedì 18 aprile 2011

La situazione libica non si evolve

La situazione libica è sempre più critica: dal punto di vista militare l'azione della NATO registra una impasse, in parte dovuta alla scarsità degli armamenti a guida laser e in parte alle difficoltà diplomatiche, che rendono l'azione politica intermittente e priva di coordinamento. Il problema degli armamenti significa che l'alleanza ha sottostimato la durata della guerra e la modalità di conclusione; il solo uso della forza aerea non basta ad arrivare alla vittoria e per ora l'impiego della forza terrestre non è previsto. Sul campo la situazione militare è di stallo, il che significa continui attacchi, con morti e feriti, da una parte e dall'altra con maggiore preponderanza delle truppe di Gheddafi, che da qualche tempo fanno uso di bombe a grappolo, contravvenendo alle convenzioni internazionali. Particolarmente difficile al situazione di Misurata, colpita più volte specialmente nelle sue unità produttive. In campo diplomatico quello che si persegue maggiormente è la ricerca di un paese, che non abbia firmato il trattato di Roma sulle estradizioni, che possa ospitare il Colonnello in un esilio dorato: Ciad, Uganda e Mali sono le destinazioni più probabili. Per ciò che riguarda la risoluzione ONU, Mosca ha rilevato, non senza fastidio, che l'azione dei paesi volenterosi ha di molto superato i confini della disposizione 1973, interpretata in maniera troppo estensiva. La critica russa arriva nel momento nel quale i grandi paesi in via di sviluppo, tra cui India e Brasile chiedono una riforma del Consiglio permanente dell'ONU, regolato con queste disposizioni dalla fine della seconda guerra mondiale.

L'azione iraniana nel Golfo Persico

Mahmoud Ahmadinejad accusa pubblicamente gli USA ed Israele di provocare tensione nei paesi arabi, dopo che le monarchie del Golfo Arabo hanno chiesto all'Iran di cessare l'ingerenza nei loro affari interni.
Il motivo dell'ingerenza di Teheran, paese a maggioranza scita, che è un problema esistente e concreto, riguarda la notevole presenza scita, che in molti casi denuncia pesanti discriminazioni nei paesi del Golfo, in nazioni governati da famiglie sunnite. Il tentativo di sfondamento politico da parte iraniana è la conseguenza di un piano elaborato per aggiudicarsi la supremazia morale, come nazione, nell'ambito dell'Islam. L'antagonismo con l'Arabia Saudita è cosa nota e che si trascina da molto tempo tra i due paesi, ed è data dal fatto che entrambi rivendicano di essere la guida degli islamici. Teheran ha approfittato ed approfitta del vento di rivolta che soffia sui paesi del Golfo per spingere gli sciti contro i propri governi. L'operazione nasce, però in un contesto molto rigido, in paesi con diritti limitati e la situazione che si presenta risulta essere una novità. Questo determina uno spaesamento dei regimi del Golfo che si trovano spiazzati di fronte alle crescenti proteste. Quello che viene accusato all'Iran è di fornire agli sciti in rivolta, sostegno sia metodologico, che finanziario per organizzare le proteste. La reazione del presidente iraniano è curiosa, perchè accomuna perfino Israele alle dinastie del golfo, ma non è del tutto sbagliata perchè a Tel Aviv non conviene un sovvertimento nei paesi arabi sunniti. Intanto il ministro degli esteri iraniano si muove presso l'ONU per una richiesta d'intervento che ponga fine alle repressioni nei paesi sunniti.

Lo stato di salute dell'Unione Europea

Uno spettro si aggira per l'Europa e pare andare ben oltre il tradizionale euroscettiscismo. Non si sta parlando di impressioni e sentimenti ma di fatti ed accadimenti che mettono in serio pericolo l'esistenza stessa dell'Unione Europea. Le divisioni in seno alla UE sul tema della guerra libica e per i problemi sull'immigrazione mettono alle corde i rapporti tra gli stati principali. Questo stato di cose è la conseguenza diretta di una politica miope e limitata al solo interesse del singolo stato, fuori dal contesto più ampio di portata continentale. L'esempio del rapporto tra Roma e Parigi sulla questione emigrazione è esplicativa del deterioramento della situazione. Sullo sfondo di una gestione imprevidente ed inadeguata dei due paesi, vi è anche l'atteggiamento UE che ha mancato di regolare dall'alto la situazione con decisioni pilatesche. Il dato rilevante è che la spinta dei movimenti localistici e populistici tiene in scacco la politica degli stati e di conseguenza, a cascata, quella della UE. Sul fatto degli immigrati, Francia ed Italia sono ricorse, l'una nei confronti dell'altra, a mezzucci patetici di reciproca scorrettezza, scendendo ad un livello bassissimo; questo perchè entrambi i governi sono sotto ricatto da parte di partiti che possono rubargli la scena da destra e ciò ha provocato la rincorsa spasmodica a scavalcarli su temi che, alla fine, pur essendo reali, sono sentiti in maniera particolare, da una parte minoritaria della popolazione. Tuttavia l'aumento del gradimento di questi movimenti, come si registra anche dal risultato del recente voto elettorale in Finlandia, costituisce più che una spia di un malessere che attraversa l'Unione Europea. La mancanza di una gestione decisa ed orientata, che parta da Bruxelles, alle problematiche più vicine alle persone, permette, specialmente in tempi di crisi economica, di sfondare facendo leva su sentimenti protezionistici, a quei movimenti che puntano su soluzioni generiche e populiste. E' questa ragione, cioè il successo dei movimenti localistici, a ben vedere, ad aprire delle crepe nel processo di europeizzazione, che pareva avviato. La UE non si è resa conto di essere sull'orlo di un abisso ed ha continuato a governare con il proprio tran tran, senza accorgersi delle avvisaglie della crisi, prima di tutto sociale. La cultura del ripiegarsi su se stessi da parte di stati proverbialmente aperti al mondo costituisce un ben misero rifugio, che non può che dare risultati scarsi di fronte ai cambiamenti epocali che si susseguono a ritmo frenetico. A ciò si devono sommare le esigenze della classe politica, che risulta incapace di elaborare progetti di grande respiro, perchè pressata dall'urgenza dei risultati sul breve periodo; la miscela costituisce un cocktail esplosivo per lo stato dell'Unione: a cui mettere al più presto riparo se non si vuole ripiombare nei tempi bui delle divisioni.

sabato 16 aprile 2011

Le possibili conseguenze del taglio francese dei permessi di lavoro

La Francia annuncia che ridurrà di 20.000 unità i permessi di soggiorno per lavoro; la decisione è frutto di un'analisi sulla necessità stimata di lavoratori stranieri per la saturazione del mercato del lavoro francese. I paesi che saranno più colpiti saranno le aree del nordafrica che hanno maggiori legami con l'ex paese coloniale. Guarda caso sono gli stessi paesi che stanno alimentando fortemente l'attuale traffico di migranti e sui quali verte il dibattito che riguarda Parigi e l'Europa. Che il fattore economico incida fortemente sulla riduzione dei permessi di soggiorno è certamente un fatto assodato, tuttavia in questa fase ciò pare più un pretesto per giustificare una soluzione politica. Il problema migratorio sta affliggendo i rapporti tra gli stati europei e la mancanza di una soluzione condivisa determina singole determinazioni statali. La decisione francese rischia di creare un effetto domino nell'ambito dell'Unione Europea, con ogni stato costretto a deliberare risoluzioni slegate dalla totalità. La mancanza di capacità di fare sistema creerà una serie di problematiche relative ad ogni singolo stato, che l'Europa non sarà più capace di coordinare. E' chiaro che gli stati che ne faranno principalmente le spese saranno quelli di frontiera, chiamati a gestire anche per gli altri, il problema migratorio in ambito continentale. La situazione di contrasto, se il problema non sarà trattato a livello centrale, è destinata ad acuirsi, anche in relazione agli immediati sviluppi delle varie situazioni dei paesi arabi e dei paesi africani, battuti dal flagello della fame. L'assunzione di singole politiche, in ordine al problema dei migranti, creerà certamente delle norme contrastanti tra le disposizioni di legge degli stati, specialmente quelli confinanti, generando situazioni di potenziale contrasto di ordine diplomatico. La soluzione francese non è il metodo più corretto, ma soltanto una misura contingente di un problema politico sia esterno che interno (le imminenti elezioni presidenziali), che rischia di arrecare un danno anche in misura di economia di scala politica. L'Europa deve intervenire al più presto per ristabilire le proprie prerogative in ambito di struttura sovranazionale.

Al Qaeda incita alla sollevazione gli arabi

Il numero due di Al Qaeda Al Zawahri ha incitato tutti i musulmani del nord africa a sollevarsi contro la NATO, che ha invaso il paese islamico della Libia, ma si è anche rivolto contro il rais di Tripoli Gheddafi. L'andamento della situazione della sponda sud del Mediterraneo ha di fatto relegato Al Qaida in una posizione di secondo piano, perchè le masse nordafricane richiedono democrazia e non valori oscurantisti. Tuttavia l'organizzazione terroristica non rinuncia alla propaganda antioccidentale e tramite questa cerca di influenzare le parti più estreme presenti sulla scena. La chiamata alle armi contro la NATO, rea di invasione di suolo islamico, è un argomento che fa sempre presa su alcune parti della società araba, ma in questo momento sembra più un atto di presenza che un reale pericolo. Attualmente la rilevanza di Al Qaeda nella regione pare limitarsi ad alcuni infiltrati presenti tra gli insorti libici, dei quali i servizi segreti occidentalin paiono al corrente. A questo proposito lo stesso colonnello Gheddafi ha recentemente sostenuto di essere in combattimento contro Al Qaeda, identificando, cioè la totalità dei ribelli, come componenti del gruppo terroristico. La dichiarazione è ad uso totalmente propagandistico e non costituisce una novità nel lento trascinarsi del conflitto.

L'attività della Banca Mondiale

Abbandonato l'obiettivo della crescita economica, perchè sostanzialmente senza presupposti di base riscontrabili per l'intero pianeta, l'attività della Banca Mondiale si è concentrata sulla lotta alla povertà focalizzando i suoi obiettivi sulle questioni dell'acqua potabile, dello sviluppo sostenibile in relazione al rispetto ambientale e sociale, sostenendo progetti in tal senso a prescindere dal regime politico della nazione beneficiaria. Questa politica è stata dettata dalla consapevolezza che il traguardo della crescita non può essere neppure contemplato se non vengono raggiunti obiettivi minimi di base comuni a tutte le nazioni. In questo quadro risulta essenziale il monitoraggio dei prezzi dei generi alimentari, che costituiscono il primo gradino per elevare gli standard dei paesi poveri. Quello che si sta registrando è un dato preoccupante dato che l'aumento dei prezzi degli alimentari è balzato in avanti del 36%, andando pericolosamente vicino ai massimi rilevati nel 2008. Il numero dei poveri nel mondo, coloro che vivono con una somma inferiore a 1,25 dollari al giorno, cresce di 68 persone al minuto, e si aggira intorno al miliardo di persone. Le varie crisi che attraversano il mondo, in special modo quelle che riguardano la produzione di greggio, stanno già incidendo in maniera rilevante sul prezzo dei generi alimentari e la loro fine che non si intravede fa pronosticare ulteriori innalzamenti dei livelli dei prezzi; se, poniamo il caso, gli aumenti raggiungessero la quota del 30% a ciò corrisponderebbe un numero di nuovi poveri di 34 miliioni di persone. Lo scenario che potrebbe prefigurarsi apre situazioni con implicazioni differenti ma con ripercussioni sull'intero mondo e di conseguenza sull'economia e sui rapporti diplomatici. Un esempio per tutti il sicuro incremento delle migrazioni, se non viene messo un freno all'aumento dei generi alimentari. Dal canto suo la Banca Mondiale propone, attraverso il suo presidente, di investire il G20 nella risoluzione dei problemi della carenza di cibo un diverso approccio nelle fasi produttive e di una nuova condotta per ciò che concerne le esportazioni di derrate alimentari.

venerdì 15 aprile 2011

L'escalation turca nel mondo islamico

L'azione diplomatica turca cerca di essere al centro della scena islamica. La strategia di Istanbul per accrescere il suo peso e la sua influenza tra i paesi musulmani continua senza sosta e si arrichisce di due nuovi episodi molto significativi. Il primo, che la pone di fronte ad Israele, riguarda la costruzione di una seconda flotta di aiuti da portare a Gaza, dopo che il primo tentativo, di qualche mese addietro, ha causato la rottura diplomatica tra i due paesi. Israele teme molto questo secondo episodio, perchè già nel primo ha avuto un grande ritorno negativo, sul piano internazionale e la Turchia gioca proprio su questo timore per portare avanti la sua politica: essere l'alfiere degli aiuti alla popolazione di Gaza, la mette sotto una luce particolarmente favorevole con l'opinione pubblica islamica. Il secondo fatto che rema nella direzione per guadagnare influenza è la concessione di un ufficio diplomatico per i Talebani ad Istanbul, in modo da favorire il dialogo verso la pacificazione sia in Afhganistan che in Pakistan. La mossa mette al centro della delicata questione Istanbul, che si pone come autorevole mediatore tra le parti, offrendo qualcosa di più che una semplice consulenza. Questi fatti, giunti ad altri esercitati nelle zone a levante e a meridione dei propri confini, pongono la Turchia sempre più fuori dall'orbita europea. Il rifuto della UE ad ammetterla nella propria organizzazione, ha obbligato la Turchia a volgere il proprio sguardo verso paesi più ben disposti, valorizzando nei loro confronti le affinità e le similitudini presenti. La capacità economica, politica ed anche militare, fa di Istanbul la più grande potenza dell'area, capace di ritagliarsi un prestigio da giocare anche su tavoli che vanno ben oltre l'importanza regionale. La crescita diplomatica turca permette di inquadrare l'errore europeo a rifiutarla come socio permanente effettivo dell'Unione Europea: un guasto da riparare al più presto.