L’Iraq, nonostante la sottovalutazione della stampa, è destinato a diventare un fronte molto importante del conflitto mediorientale e, specificatamente, del confronto tra USA ed Iran. La situazione, che le autorità irakene hanno definito di violazione della propria sovranità, ha visto reciproci attacchi tra Washington e Teheran, condotti proprio sul suolo dell’Iraq. L’Iran non sopporta la presenza militare americana ai suoi confini, sul suolo irakeno il regime degli Ajatollah è presente con milizie filo-iraniane, finanziate da Teheran, la cui presenza è ritenuta strategicamente importante, nel quadro delle azioni contro l’occidente ed Israele. Tra i compiti di queste milizie ci sono atti di disturbo contro le forze americane e quelle della coalizione contro i jihadisti, presenti sul suolo irakeno. Recentemente queste operazioni militari, in realtà già in corso da ottobre, hanno colpito basi americane con droni e razzi, provocando feriti nel personale statunitense e danneggiamenti delle infrastrutture delle basi. Pur senza la firma iraniana gli attacchi sono stati facilmente ricondotti a Teheran e ciò ha aggravato una situazione di contrasto capace di degenerare in maniera pericolosa. Gli USA hanno risposto, colpendo le Brigate Hezbollah, presenti sul territorio irakeno in una regione al confine con la Siria, provocando due vittime tra i miliziani; tuttavia altre vittime si sarebbero registrate in milizie scite, che sono entrate a fare parte dell’esercito regolare irakeno. Queste ritorsioni americane hanno suscitato le proteste del governo di Bagdad, che è stato eletto grazie ai voti degli sciiti irakeni e che teme la reazione dei propri sostenitori. L’accusa di violazione della sovranità nazionale, se appare giustificata contro le azioni di Washington, dovrebbe valere anche contro Teheran, in quanto mandante degli attentati contro le installazioni americane e, allargando il discorso, anche contro i turchi, che hanno condotto più volte azioni contro i curdi, cosa, peraltro imitata dagli iraniani. La realtà è che la situazione attuale in Iraq, ma anche in Siria ed in Libano, da parte degli israeliani, vede una continua violazione delle norme del diritto internazionale in una di serie di guerre non dichiarate ufficialmente, che sfuggono alla prassi prevista dalla legislazione internazionale. Questa situazione presente il rischio maggiore di una estensione del conflitto mediorientale, capace di provocare la deflagrazione di una guerra dichiarata, come fattore successivo a questi episodi, purtroppo sempre più frequenti, di conflitti a bassa intensità. Lasciare l’Iraq fuori da un conflitto appare determinante per evitare un conflitto mondiale, la posizione geografica del paese, tra le due maggiorie contrapposte potenze islamiche, porterebbe ad un confronto diretto, che avrebbe come prima conseguenza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e la possibilità, per Teheran, di avvicinare le sue basi missilistiche ad Israele. Uno dei maggiori protagonisti, per evitare questa pericolosa deriva è il primo ministro iracheno Mohamed Chia al-Soudani, che pur godendo dell’appoggio dell’elettorato sciita, ha bisogno di preservare i legami tra Bagdad e Washington. In realtà questi legami, nelle intenzioni del premier irakeno dovrebbero essere soltanto di natura diplomatica, giacché circa la presenza della coalizione militare internazionale, il capo dell’esecutivo ne ha più volte sottolineato il ritiro per favorire le condizioni di stabilità e sicurezza dell’Iraq. La questione è però di difficile soluzione: con la presenza di milizie finanziate ed addestrate nel paese, l’Iraq rischia di perdere la propria indipendenza, garantita proprio dalla presenza delle forze occidentali; se il paese irakeno cadesse nelle mani di Teheran sarebbe un grosso problema di natura geopolitica per Washington, che deve per forza mantenere il proprio presidio sul suolo irakeno, fatto rafforzato dalla questione di Gaza, che ha provocato le azioni degli Houti e l’autoproclamazione da parte di Teheran di difensore dei palestinesi, nonostante la differenza religiosa. Bagdad è diventata così una vittima indiretta della situazione che si è creata a Gaza, dopo avere attraversato tutta la fase della presenza dello Stato islamico, peraltro ancora presente in determinate zone. Per disinnescare questo rischio occorrerebbe uno sforzo diplomatico della parte più responsabile di quelle in causa: gli USA; tale sforzo diplomatico dovrebbe essere diretto, non tanto verso l’Iran, ma verso Israele per fermare la carneficina di Gaza, favorire gli aiuti alla popolazione, anche con l’utilizzo di caschi blu dell’ONU ed accelerare, anche in maniera unilaterale la soluzione dei due stati, l’unica capace di fermare l’escalation internazionale ed eliminare ogni scusa per creare i presupposti dell’instabilità regionale.
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mercoledì 24 gennaio 2024
Iraq, a battleground between the USA and Iran
Iraq, despite the underestimation of the press, is destined to become a very important front in the Middle Eastern conflict and, specifically, in the confrontation between the USA and Iran. The situation, which the Iraqi authorities defined as a violation of their sovereignty, saw mutual attacks between Washington and Tehran, conducted right on Iraqi soil. Iran cannot tolerate the American military presence on its borders, on Iraqi soil the Ajatollah regime is present with pro-Iranian militias, financed by Tehran, whose presence is considered strategically important, in the context of actions against the West and Israel . Among the tasks of these militias are acts of disturbance against American forces and those of the coalition against the jihadists present on Iraqi soil. Recently these military operations, in reality already underway since October, have hit American bases with drones and rockets, causing injuries to US personnel and damage to the infrastructure of the bases. Even without the Iranian signature, the attacks were easily traced back to Tehran and this aggravated a conflict situation capable of degenerating into a dangerous manner. The USA responded by striking the Hezbollah Brigades, present on Iraqi territory in a region on the border with Syria, causing two victims among the militiamen; however, other victims would have been recorded in Scythian militias, which have become part of the regular Iraqi army. These American retaliations have sparked protests from the Baghdad government, which was elected thanks to the votes of Iraqi Shiites and which fears the reaction of its supporters. The accusation of violation of national sovereignty, if it appears justified against Washington's actions, should also apply against Tehran, as the instigator of the attacks against American installations and, broadening the discussion, also against the Turks, who have carried out actions several times against the Kurds, something also imitated by the Iranians. The reality is that the current situation in Iraq, but also in Syria and Lebanon, by the Israelis, sees a continuous violation of the rules of international law in a series of unofficially declared wars, which escape the practice established by international law . This situation presents the greatest risk of an extension of the Middle Eastern conflict, capable of provoking the explosion of a declared war, as a subsequent factor to these, unfortunately increasingly frequent, episodes of low intensity conflicts. Leaving Iraq out of a conflict appears crucial to avoiding a world conflict; the geographical position of the country, between the two major opposing Islamic powers, would lead to a direct confrontation, which would have as its first consequence the direct involvement of the United States and the possibility , for Tehran, to bring its missile bases closer to Israel. One of the major protagonists to avoid this dangerous drift is the Iraqi Prime Minister Mohamed Chia al-Soudani, who, despite enjoying the support of the Shiite electorate, needs to preserve ties between Baghdad and Washington. In reality, these ties, in the intentions of the Iraqi prime minister, should only be of a diplomatic nature, since regarding the presence of the international military coalition, the head of the executive has repeatedly underlined its withdrawal to favor the conditions of stability and security in Iraq. However, the issue is difficult to resolve: with the presence of financed and trained militias in the country, Iraq risks losing its independence, guaranteed precisely by the presence of Western forces; if the Iraqi country fell into the hands of Tehran it would be a major problem of a geopolitical nature for Washington, which must necessarily maintain its presence on Iraqi soil, a fact strengthened by the issue of Gaza, which provoked the actions of the Houthis and the self-proclamation by part of Tehran as defender of the Palestinians, despite the religious difference. Baghdad thus became an indirect victim of the situation that was created in Gaza, after having gone through the entire phase of the presence of the Islamic State, which is still present in certain areas. To defuse this risk, a diplomatic effort would be needed from the most responsible party of those involved: the USA; this diplomatic effort should be directed, not so much towards Iran, but towards Israel to stop the carnage in Gaza, encourage aid to the population, also with the use of UN peacekeepers and accelerate the solution, even unilaterally of the two states, the only one capable of stopping international escalation and eliminating any excuse for creating the conditions for regional instability.
Irak, campo de batalla entre EE.UU. e Irán
Irak, a pesar de la infravaloración de la prensa, está llamado a convertirse en un frente muy importante en el conflicto de Oriente Medio y, en concreto, en el enfrentamiento entre Estados Unidos e Irán. La situación, que las autoridades iraquíes definieron como una violación de su soberanía, provocó ataques mutuos entre Washington y Teherán, llevados a cabo en suelo iraquí. Irán no puede tolerar la presencia militar estadounidense en sus fronteras; en suelo iraquí el régimen de Ajatollah está presente con milicias proiraníes, financiadas por Teherán, cuya presencia se considera estratégicamente importante, en el contexto de acciones contra Occidente e Israel. Entre las tareas de estas milicias se encuentran los actos de disturbios contra las fuerzas estadounidenses y los de la coalición contra los yihadistas presentes en suelo iraquí. Recientemente, estas operaciones militares, en realidad ya en marcha desde octubre, han atacado bases estadounidenses con drones y cohetes, provocando heridos al personal estadounidense y daños a la infraestructura de las bases. Incluso sin la firma iraní, los ataques se remontaron fácilmente a Teherán y esto agravó una situación de conflicto capaz de degenerar de manera peligrosa. Estados Unidos respondió atacando a las Brigadas de Hezbolá, presentes en territorio iraquí, en una región fronteriza con Siria, provocando dos víctimas entre los milicianos; sin embargo, otras víctimas se habrían registrado en las milicias escitas, que han pasado a formar parte del ejército regular iraquí. Estas represalias estadounidenses han provocado protestas del Gobierno de Bagdad, elegido gracias a los votos de los chiítas iraquíes y que teme la reacción de sus partidarios. La acusación de violación de la soberanía nacional, si parece justificada frente a las acciones de Washington, debería aplicarse también a Teherán, como instigador de los ataques contra las instalaciones estadounidenses y, ampliando el debate, también a los turcos, que han llevado a cabo varias veces acciones contra los kurdos, algo que también imitaron los iraníes. La realidad es que la situación actual en Irak, pero también en Siria y Líbano, por parte de los israelíes, se caracteriza por una violación continua de las normas del derecho internacional en una serie de guerras declaradas extraoficialmente, que escapan a la práctica establecida por el derecho internacional. Esta situación presenta el mayor riesgo de una extensión del conflicto de Oriente Medio, capaz de provocar la explosión de una guerra declarada, como factor posterior a estos episodios, lamentablemente cada vez más frecuentes, de conflictos de baja intensidad. Dejar a Irak fuera de un conflicto parece crucial para evitar un conflicto mundial; la posición geográfica del país, entre las dos grandes potencias islámicas enfrentadas, llevaría a un enfrentamiento directo, que tendría como primera consecuencia la implicación directa de Estados Unidos. y la posibilidad, para Teherán, de acercar sus bases de misiles a Israel. Uno de los principales protagonistas para evitar esta peligrosa deriva es el primer ministro iraquí Mohamed Chia al-Soudani, quien, a pesar de contar con el apoyo del electorado chií, necesita preservar los vínculos entre Bagdad y Washington. En realidad, estos vínculos, en las intenciones del primer ministro iraquí, deberían ser sólo de carácter diplomático, ya que respecto a la presencia de la coalición militar internacional, el jefe del ejecutivo ha subrayado repetidamente su retirada para favorecer las condiciones de estabilidad y seguridad en Irak. Sin embargo, la cuestión es difícil de resolver: con la presencia en el país de milicias financiadas y entrenadas, Irak corre el riesgo de perder su independencia, garantizada precisamente por la presencia de fuerzas occidentales; si el país iraquí cayera en manos de Teherán sería un gran problema de carácter geopolítico para Washington, que necesariamente debe mantener su presencia en suelo iraquí, hecho reforzado por la cuestión de Gaza, que provocó las acciones de los hutíes y la autoproclamación por parte de Teherán como defensor de los palestinos, a pesar de la diferencia religiosa. Bagdad se convirtió así en una víctima indirecta de la situación creada en Gaza, después de haber pasado por toda la fase de presencia del Estado Islámico, que todavía está presente en determinadas zonas. Para desactivar este riesgo, sería necesario un esfuerzo diplomático por parte de la parte más responsable de los involucrados: Estados Unidos; este esfuerzo diplomático debería dirigirse, no tanto hacia Irán, sino hacia Israel para detener la matanza en Gaza, fomentar la ayuda a la población, también con el uso de fuerzas de paz de la ONU y acelerar la solución, incluso unilateralmente, de los dos estados, la única uno capaz de detener la escalada internacional y eliminar cualquier excusa para crear las condiciones para la inestabilidad regional.
Irak, ein Schlachtfeld zwischen den USA und dem Iran
Der Irak ist trotz der Unterschätzung in der Presse dazu bestimmt, eine sehr wichtige Front im Nahostkonflikt und insbesondere in der Konfrontation zwischen den USA und dem Iran zu werden. In der Situation, die die irakischen Behörden als Verletzung ihrer Souveränität betrachteten, kam es zu gegenseitigen Angriffen zwischen Washington und Teheran, die direkt auf irakischem Boden verübt wurden. Iran kann die amerikanische Militärpräsenz an seinen Grenzen nicht dulden, auf irakischem Boden ist das Ajatollah-Regime mit pro-iranischen Milizen präsent, die von Teheran finanziert werden, dessen Präsenz im Rahmen von Aktionen gegen den Westen und Israel als strategisch wichtig angesehen wird. Zu den Aufgaben dieser Milizen zählen Unruhen gegen amerikanische Streitkräfte und solche der Koalition gegen die auf irakischem Boden präsenten Dschihadisten. Kürzlich haben diese Militäroperationen, die in Wirklichkeit bereits seit Oktober laufen, amerikanische Stützpunkte mit Drohnen und Raketen getroffen, was zu Verletzungen des US-Personals und Schäden an der Infrastruktur der Stützpunkte geführt hat. Auch ohne die iranische Unterschrift konnten die Angriffe leicht auf Teheran zurückgeführt werden, was eine Konfliktsituation verschärfte, die gefährlich ausarten konnte. Die USA reagierten mit einem Angriff auf die Hisbollah-Brigaden, die auf irakischem Territorium in einer Region an der Grenze zu Syrien stationiert waren, und forderten zwei Opfer unter den Milizionären; Weitere Opfer dürften jedoch bei skythischen Milizen registriert worden sein, die Teil der regulären irakischen Armee geworden sind. Diese amerikanischen Vergeltungsmaßnahmen haben Proteste der Bagdad-Regierung ausgelöst, die dank der Stimmen irakischer Schiiten gewählt wurde und die Reaktion ihrer Anhänger fürchtet. Der Vorwurf der Verletzung der nationalen Souveränität sollte, wenn er gegen das Vorgehen Washingtons gerechtfertigt erscheint, auch gegen Teheran als Auslöser der Angriffe auf amerikanische Einrichtungen und, die Diskussion erweiternd, auch gegen die Türken gelten, die mehrfach gegen sie vorgegangen sind die Kurden, was auch von den Iranern nachgeahmt wurde. Die Realität ist, dass die aktuelle Situation im Irak, aber auch in Syrien und im Libanon durch die Israelis zu einer kontinuierlichen Verletzung der Regeln des Völkerrechts durch eine Reihe inoffiziell erklärter Kriege führt, die der durch das Völkerrecht festgelegten Praxis entgehen. Diese Situation birgt das größte Risiko einer Ausweitung des Nahostkonflikts, der als Folgefaktor für diese leider immer häufiger auftretenden Episoden von Konflikten geringer Intensität den Ausbruch eines erklärten Krieges provozieren könnte. Um einen weltweiten Konflikt zu vermeiden, scheint es von entscheidender Bedeutung zu sein, den Irak aus einem Konflikt herauszunehmen; die geografische Lage des Landes zwischen den beiden großen islamischen Großmächten würde zu einer direkten Konfrontation führen, die als erste Konsequenz die direkte Beteiligung der Vereinigten Staaten zur Folge hätte und die Möglichkeit für Teheran, seine Raketenbasen näher an Israel heranzuführen. Einer der wichtigsten Protagonisten, um diese gefährliche Entwicklung zu verhindern, ist der irakische Premierminister Mohamed Chia al-Soudani, der trotz der Unterstützung der schiitischen Wählerschaft die Beziehungen zwischen Bagdad und Washington aufrechterhalten muss. In Wirklichkeit sollten diese Beziehungen nach den Absichten des irakischen Premierministers nur diplomatischer Natur sein, da der Chef der Exekutive in Bezug auf die Präsenz der internationalen Militärkoalition wiederholt deren Rückzug betont hat, um die Bedingungen für Stabilität und Stabilität zu fördern Sicherheit im Irak. Allerdings ist das Problem schwer zu lösen: Durch die Präsenz finanzierter und ausgebildeter Milizen im Land besteht für den Irak die Gefahr, seine Unabhängigkeit zu verlieren, die gerade durch die Präsenz westlicher Streitkräfte garantiert wird; Wenn das irakische Land in die Hände Teherans fiele, wäre das ein großes Problem geopolitischer Natur für Washington, das unbedingt seine Präsenz auf irakischem Boden aufrechterhalten muss, eine Tatsache, die durch die Gaza-Frage, die das Vorgehen der Houthis provozierte, noch verstärkt wurde die Selbsterklärung eines Teils Teherans zum Verteidiger der Palästinenser, trotz der religiösen Differenz. Bagdad wurde somit ein indirektes Opfer der in Gaza entstandenen Situation, nachdem es die gesamte Phase der Präsenz des Islamischen Staates durchgemacht hatte, der in bestimmten Gebieten immer noch präsent ist. Um dieses Risiko zu entschärfen, wäre eine diplomatische Anstrengung der verantwortlichsten Partei der Beteiligten erforderlich: der USA; Diese diplomatischen Bemühungen sollten nicht so sehr auf den Iran, sondern auf Israel gerichtet sein, um das Blutbad in Gaza zu stoppen, die Hilfe für die Bevölkerung zu fördern, auch unter Einsatz von UN-Friedenstruppen, und die Lösung, auch einseitig, der beiden Staaten, der einzigen eine, die in der Lage ist, die internationale Eskalation zu stoppen und jeden Vorwand für die Schaffung der Voraussetzungen für regionale Instabilität zu beseitigen.
L'Irak, champ de bataille entre les États-Unis et l'Iran
L'Irak, malgré la sous-estimation de la presse, est destiné à devenir un front très important dans le conflit du Moyen-Orient et, en particulier, dans la confrontation entre les États-Unis et l'Iran. Cette situation, que les autorités irakiennes ont qualifiée de violation de leur souveraineté, a donné lieu à des attaques mutuelles entre Washington et Téhéran, menées directement sur le sol irakien. L'Iran ne peut tolérer la présence militaire américaine à ses frontières, sur le sol irakien le régime Ajatollah est présent avec des milices pro-iraniennes, financées par Téhéran, dont la présence est considérée comme stratégiquement importante, dans le contexte d'actions contre l'Occident et Israël. Parmi les tâches de ces milices figurent des actes de perturbation contre les forces américaines et celles de la coalition contre les jihadistes présents sur le sol irakien. Récemment, ces opérations militaires, en réalité déjà en cours depuis octobre, ont frappé des bases américaines avec des drones et des roquettes, causant des blessés parmi le personnel américain et des dommages aux infrastructures des bases. Même sans la signature iranienne, les attaques pouvaient facilement être attribuées à Téhéran, ce qui a aggravé une situation de conflit susceptible de dégénérer de manière dangereuse. Les États-Unis ont répondu en frappant les Brigades du Hezbollah, présentes sur le territoire irakien dans une région frontalière avec la Syrie, faisant deux victimes parmi les miliciens ; cependant, d'autres victimes auraient été enregistrées dans les milices scythes, devenues partie intégrante de l'armée régulière irakienne. Ces représailles américaines ont suscité des protestations de la part du gouvernement de Bagdad, élu grâce aux votes des chiites irakiens et qui craint la réaction de ses partisans. L'accusation de violation de la souveraineté nationale, si elle apparaît justifiée face aux actions de Washington, devrait également s'appliquer à Téhéran, en tant qu'instigateur des attaques contre les installations américaines et, en élargissant le débat, également aux Turcs, qui ont mené à plusieurs reprises des actions contre les Kurdes, quelque chose également imité par les Iraniens. La réalité est que la situation actuelle en Irak, mais aussi en Syrie et au Liban, par les Israéliens, voit une violation continue des règles du droit international dans une série de guerres officieusement déclarées, qui échappent à la pratique établie par le droit international. Cette situation présente le plus grand risque d’extension du conflit au Moyen-Orient, susceptible de provoquer l’explosion d’une guerre déclarée, facteur ultérieur à ces épisodes malheureusement de plus en plus fréquents de conflits de faible intensité. Sortir l'Irak d'un conflit apparaît crucial pour éviter un conflit mondial ; la position géographique du pays, entre les deux grandes puissances islamiques opposées, conduirait à un affrontement direct, qui aurait pour première conséquence l'implication directe des États-Unis. et la possibilité, pour Téhéran, de rapprocher ses bases de missiles d'Israël. L'un des principaux protagonistes pour éviter cette dérive dangereuse est le Premier ministre irakien Mohamed Chia al-Soudani qui, bien que bénéficiant du soutien de l'électorat chiite, doit préserver les liens entre Bagdad et Washington. En réalité, ces liens, dans les intentions du premier ministre irakien, ne devraient être que de nature diplomatique, puisque concernant la présence de la coalition militaire internationale, le chef de l'exécutif a souligné à plusieurs reprises son retrait pour favoriser les conditions de stabilité et sécurité en Irak. Mais la question est difficile à résoudre : avec la présence de milices financées et entraînées dans le pays, l'Irak risque de perdre son indépendance, garantie justement par la présence des forces occidentales ; si le pays irakien tombait aux mains de Téhéran, cela constituerait un problème géopolitique majeur pour Washington, qui doit nécessairement maintenir sa présence sur le sol irakien, fait renforcé par la question de Gaza, qui a provoqué les actions des Houthis et l'autoproclamation d'une partie de Téhéran comme défenseur des Palestiniens, malgré la différence religieuse. Bagdad est ainsi devenue une victime indirecte de la situation créée à Gaza, après avoir traversé toute la phase de présence de l’État islamique, toujours présent dans certaines zones. Pour désamorcer ce risque, un effort diplomatique serait nécessaire de la part de la partie la plus responsable parmi les acteurs impliqués : les États-Unis ; cet effort diplomatique devrait être dirigé, non pas tant vers l'Iran, mais vers Israël pour arrêter le carnage à Gaza, encourager l'aide à la population, également avec le recours aux casques bleus de l'ONU et accélérer la solution, même unilatérale des deux États, la seule capable d’arrêter l’escalade internationale et d’éliminer toute excuse pour créer les conditions d’une instabilité régionale.
Iraque, um campo de batalha entre os EUA e o Irão
O Iraque, apesar da subestimação da imprensa, está destinado a tornar-se uma frente muito importante no conflito do Médio Oriente e, especificamente, no confronto entre os EUA e o Irão. A situação, que as autoridades iraquianas definiram como uma violação da sua soberania, assistiu a ataques mútuos entre Washington e Teerão, conduzidos directamente em solo iraquiano. O Irão não pode tolerar a presença militar americana nas suas fronteiras, em solo iraquiano o regime do Ajatollah está presente com milícias pró-iranianas, financiadas por Teerão, cuja presença é considerada estrategicamente importante, no contexto de ações contra o Ocidente e Israel. Entre as tarefas destas milícias estão atos de perturbação contra as forças americanas e as da coligação contra os jihadistas presentes em solo iraquiano. Recentemente, estas operações militares, na realidade já em curso desde Outubro, atingiram bases americanas com drones e foguetes, causando ferimentos ao pessoal dos EUA e danos à infra-estrutura das bases. Mesmo sem a assinatura iraniana, os ataques foram facilmente rastreados até Teerão e isso agravou uma situação de conflito capaz de degenerar de forma perigosa. Os EUA responderam atacando as Brigadas do Hezbollah, presentes em território iraquiano numa região na fronteira com a Síria, causando duas vítimas entre os milicianos; no entanto, outras vítimas teriam sido registadas nas milícias citas, que se tornaram parte do exército regular iraquiano. Estas retaliações americanas suscitaram protestos do governo de Bagdad, que foi eleito graças aos votos dos xiitas iraquianos e que teme a reacção dos seus apoiantes. A acusação de violação da soberania nacional, se parecer justificada contra as acções de Washington, deverá aplicar-se também contra Teerão, como instigador dos ataques contra instalações americanas e, alargando a discussão, também contra os turcos, que realizaram diversas acções contra os curdos, algo também imitado pelos iranianos. A realidade é que a situação actual no Iraque, mas também na Síria e no Líbano, por parte dos israelitas, vê uma violação contínua das regras do direito internacional numa série de guerras declaradas não oficialmente, que fogem à prática estabelecida pelo direito internacional. Esta situação apresenta o maior risco de prolongamento do conflito no Médio Oriente, capaz de provocar a explosão de uma guerra declarada, como factor subsequente a estes episódios, infelizmente cada vez mais frequentes, de conflitos de baixa intensidade. Deixar o Iraque fora de um conflito parece crucial para evitar um conflito mundial; a posição geográfica do país, entre as duas grandes potências islâmicas opostas, levaria a um confronto directo, que teria como primeira consequência o envolvimento directo dos Estados Unidos e a possibilidade, para Teerão, de aproximar as suas bases de mísseis de Israel. Um dos grandes protagonistas para evitar esta perigosa deriva é o primeiro-ministro iraquiano, Mohamed Chia al-Soudani, que, apesar de contar com o apoio do eleitorado xiita, precisa de preservar os laços entre Bagdad e Washington. Na realidade, estes laços, nas intenções do primeiro-ministro iraquiano, deveriam ser apenas de natureza diplomática, já que relativamente à presença da coligação militar internacional, o chefe do executivo tem sublinhado repetidamente a sua retirada para favorecer as condições de estabilidade e segurança no Iraque. Contudo, a questão é difícil de resolver: com a presença de milícias financiadas e treinadas no país, o Iraque corre o risco de perder a sua independência, garantida precisamente pela presença de forças ocidentais; se o país iraquiano caísse nas mãos de Teerã seria um grande problema de natureza geopolítica para Washington, que deve necessariamente manter a sua presença em solo iraquiano, fato reforçado pela questão de Gaza, que provocou as ações dos Houthis e a autoproclamação de parte de Teerã como defensora dos palestinos, apesar da diferença religiosa. Bagdad tornou-se assim vítima indirecta da situação que se criou em Gaza, depois de ter passado por toda a fase da presença do Estado Islâmico, que ainda está presente em certas zonas. Para neutralizar este risco, seria necessário um esforço diplomático da parte mais responsável dos envolvidos: os EUA; este esforço diplomático deve ser dirigido, não tanto para o Irão, mas para que Israel pare a carnificina em Gaza, incentive a ajuda à população, também com o recurso a forças de manutenção da paz da ONU e acelere a solução, mesmo unilateral, dos dois estados, o único capaz de travar a escalada internacional e eliminar qualquer desculpa para criar condições para a instabilidade regional.
Ирак – поле битвы между США и Ираном
Ираку, несмотря на недооценку прессы, суждено стать важнейшим фронтом в ближневосточном конфликте и, в частности, в противостоянии США и Ирана. Ситуация, которую иракские власти расценили как нарушение своего суверенитета, привела к взаимным атакам Вашингтона и Тегерана, проведенным прямо на иракской земле. Иран не может терпеть американское военное присутствие на своих границах, на иракской земле присутствует режим Аджатоллы с проиранскими формированиями, финансируемыми Тегераном, присутствие которых считается стратегически важным в контексте действий против Запада и Израиля. Среди задач этих ополчений - акты беспорядков против американских сил и сил коалиции против джихадистов, присутствующих на иракской земле. Недавно эти военные операции, которые на самом деле уже ведутся с октября, нанесли удары по американским базам с помощью дронов и ракет, причинив ранения американскому персоналу и нанеся ущерб инфраструктуре баз. Даже без иранской подписи теракты легко были прослежены до Тегерана, что усугубляло конфликтную ситуацию, способную перерасти в опасную форму. США ответили ударом по бригадам «Хезболлы», находящимся на территории Ирака в районе на границе с Сирией, в результате чего двое боевиков пострадали; однако другие жертвы были бы зафиксированы в скифских ополчениях, ставших частью регулярной иракской армии. Эти американские ответные меры вызвали протесты со стороны правительства Багдада, которое было избрано благодаря голосам иракских шиитов и которое опасается реакции своих сторонников. Обвинение в нарушении национального суверенитета, если оно окажется оправданным на фоне действий Вашингтона, должно быть также применимо против Тегерана как зачинщика атак на американские объекты и, расширяя дискуссию, также против турок, которые несколько раз осуществляли действия против курды, чему иранцы тоже подражали. Реальность такова, что нынешняя ситуация в Ираке, а также в Сирии и Ливане со стороны израильтян представляет собой постоянное нарушение норм международного права в виде серии неофициально объявленных войн, которые выходят за рамки практики, установленной международным правом. Эта ситуация представляет собой наибольший риск расширения ближневосточного конфликта, способного спровоцировать взрыв объявленной войны в качестве последующего фактора этих, к сожалению, все более частых эпизодов конфликтов низкой интенсивности. Выход Ирака из конфликта представляется решающим для предотвращения мирового конфликта; географическое положение страны между двумя основными противоборствующими исламскими державами приведет к прямой конфронтации, первым следствием которой станет прямое вмешательство Соединенных Штатов. и возможность для Тегерана приблизить свои ракетные базы к Израилю. Одним из главных сторонников предотвращения этого опасного дрейфа является премьер-министр Ирака Мохамед Чиа аль-Судани, которому, несмотря на поддержку шиитского электората, необходимо сохранить связи между Багдадом и Вашингтоном. В действительности эти связи, по замыслу иракского премьер-министра, должны носить лишь дипломатический характер, поскольку относительно присутствия международной военной коалиции глава исполнительной власти неоднократно подчеркивал ее выход в пользу условий стабильности и безопасности. безопасности в Ираке. Однако вопрос решить сложно: при наличии в стране финансируемых и обученных ополченцев Ирак рискует потерять свою независимость, гарантированную именно присутствием западных сил; если бы иракская страна попала в руки Тегерана, это стало бы серьезной проблемой геополитического характера для Вашингтона, который обязательно должен сохранить свое присутствие на иракской земле, факт, усиленный проблемой Газы, спровоцировавшей действия хуситов и самопровозглашение частью Тегерана защитником палестинцев, несмотря на религиозные различия. Таким образом, Багдад стал косвенной жертвой ситуации, создавшейся в секторе Газа, пройдя всю фазу присутствия Исламского государства, которое до сих пор присутствует в определенных районах. Чтобы снизить этот риск, потребуются дипломатические усилия со стороны наиболее ответственной стороны: США; эти дипломатические усилия должны быть направлены не столько на Иран, сколько на Израиль, чтобы остановить бойню в Газе, стимулировать помощь населению, в том числе с использованием миротворцев ООН, и ускорить решение, даже в одностороннем порядке двух государств, единственного способный остановить международную эскалацию и устранить любые оправдания для создания условий для региональной нестабильности.