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sabato 5 novembre 2011

Il ruolo stabilizzatore della Cina

La stretta a cui è sottoposta l'economia occidentale preoccupa il gigante asiatico; infatti la Cina, proprio durante i lavori in corso del G20, decide di rivalutare la propria moneta. Questa mossa è una vera e propria offerta di collaborazione diplomatica per alleviare le tensioni commerciali con l'occidente, ed in special modo degli USA, che hanno più volte accusato Pechino di mantenere in maniera artificiale il valore basso della valuta cinese per incrementare le esportazioni delle merci del dragone asiatico. La rivalutazione della moneta cinese ha come obiettivo di prevenire le critiche dell'occidente, anche se spesso questa manovra è usata durante le manifestazioni internazionali per deviare la luce dei riflettori sulla Cina, questa volta a farla da padrone pare il timore di Pechino, di un blocco della esportazione delle merci verso i mercati più ricchi. Infatti, stante l'attuale situazione di crisi, la possibilità di una instaurazione di dazi e tariffe doganali più elevate preoccupa e non poco il governo cinese. Queste ragioni vengono sommate al fatto dei problemi dell'eurozona dove l'investimento cinese ammonta a circa 550 miliardi di dollari USA, di cui almeno 75 miliardi investiti nei titoli italiani, particolarmente sotto osservazione. Una contrazione dei consumi nell'eurozona è vissuta come un fatto tragico per le esportazioni cinesi, che ne sono ben consapevoli ed infatti si sono detti disponibili ad ulteriori investimenti fino a 100 miliardi di dollari nel fondo salva-stati elaborato in sede UE. Anche se la notizia del referendum greco ha portato qualche perplessità sulle intenzioni cinesi, la strada individuata sembra l'unica percorribile per il mantenimento delle quote di mercato su cui Pechino fonda la propria esistenza, in materia economica globale. Anche perchè il pericolo che più spaventa Pechino è la deflazione, che può venire combattuta soltanto con l'apertura concreta di nuove opportunità per il rilancio sia del lavoro e di conseguenza dei consumi, situazioni che, perchè si verifichino, necessitano, appunto della rivalutazione dello yuan. Ma nel breve periodo il pericolo si chiama invece inflazione, che potrebbe essere innescata proprio a causa dell'aumento del valore della divisa cinese e che potrebbe provocare un aumento dei prezzi e l'impoverimento dei lavoratori occidentali, incapaci così di accedere all'acquisto delle merci cinesi. E' una situazione in divenire che ha bisogno di aggiustamenti continui e ritocchi anche minimi per non alterare troppo gli equilibri globali del sistema. Alla fine quello che emerge è il ruolo sempre maggiore della Cina come stabilizzatore del mercato mondiale, anche se è una stabilizzazione che tende, giocoforza al proprio vantaggio, maggioritario ma non esclusivo, dato il legame venutosi a creare con il mercato globalizzato, dove i destini comuni delle nazioni sono legati tra di loro a filo doppio. Se la Cina, forte della propria ingente liquidità, decide di giocare il proprio ruolo di leader mondiale nella maniera giusta, possono aprirsi scenari favorevoli per tutti per uscire dalla crisi, anche se è scontato che a rinunciare maggiormente ai privilegi fin qui acquisiti dovranno essere quei paesi, sopratutto occidentali, che hanno vissuto al di sopra delle loro potenzialità, cedendo quote a vantaggio di quei paesi emergenti forti di fondamentali in crescita in grado di garantire maggiore stabilità al sistema nel suo complesso.

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