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domenica 13 febbraio 2011
Egitto: esercito ed incognite della transizione
La pace del mondo e’ in mano alle forze armate egiziane; e’ questo che la transizione di potere da Mubarak ha di fatto stabilito: consegnare il potere al paese e con esso l’accesso ad Israele ed il rispetto degli accordi di Camp David ai detentori del potere militare egiziano. Le forze armate egiziane hanno rappresentato sotto il regime di Mubarak un ceto influente che ha goduto di parecchi favori, tuttavia il grado di collusione con il regime caduto non ha consentito un suo mantenimento al potere, troppo forte la spinta popolare, troppo poco conveniente tenere in vita una dittatura, che con l’avanzare dell’eta’ del suo leader rischiava una caduta ancor piu’ rovinosa con conseguenze nefaste per l’apparato militare. Meglio un ragionamento da realpolitik: assicurare un passaggio indolore restandone dietro come garanti. Per l’occidente che l’esercito egiziano abbia in mano le chiavi della transizione e’ un’assicurazione: la struttura portante sia dei vertici che dei livelli inferiori e’ di matrice laica e soprattutto riconoscente agli USA per il contributo annuo in contante che consente il rinnovo degli armamenti. Non esiste, quindi il pericolo di una creazione, perlomeno immediata, di uno stato anti occidentale. Cio’ per il momento placa in qualche modo anche Israele, anche se sullo sfondo il rischio della riapertura del valico che collega l’Egitto alla striscia di Gaza, richiesta proveniente da diverse parti, tra cui i Fratelli Musulmani, ha gia’ messo in stato di allerta le forze di sicurezza di Tel Aviv. Qualche dubbio in piu’ suscita in diversi osservatori la reale capacita’ della gestione della transizione verso la democrazia di un apparato che ha poca confidenza con essa; la struttura militare egiziana ha attraversato diverse fasi, dalla caduta del regno, all’alleanza con l’URSS, fino alla svolta atlantica con la sottoscrizione degli accordi di Camp David. In tutti questi passaggi le forze armate hanno sempre garantito il loro appoggio al regime in carica con il tacito assenso dato grazie alle guarentigie riconosciute, ma mai sono state un soggetto con iniziative proprie e con una autonoma direzione; hanno certo contato molto nell’establishment egiziano, ma su di un piano subalterno. Ora hanno in mano il pallino del gioco senza alcuna autorita’ politica che gli copra le spalle, sono anzi loro la principale autorita’ politica. Questo cambio di prospettiva presenta molte incognite, prima fra tutte la reale capacita’ organizzativa della gestione della transizione. Finita l’euforia della festa si dovranno mettere d’accordo le varie anime della piazza ed arrivare alle elezioni e dopo ci sara’ da valutare il gradimento del vincitore. Non solo, oltre al fronte interno, occorrera’ gestire anche il fronte internazionale, la posizione geografica dell’Egitto al confine con Israele porra’ il paese, in questa fase di incertezza, all’attenzione delle nazioni interessate, con richieste di favori e scambi di relazioni che occorrera’ gestire nella maniera migliore e possibilmente senza sbilanciarsi senza la previsione di chi uscira’ vincitore. Per il momento la soluzione e’ comunque di gran lunga la migliore, in attesa degli eventi.
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