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mercoledì 2 febbraio 2011
Mediterraneo del sud: autodeterminazione e politica internazionale
La situazione nella sponda sud del Mediterraneo offre un notevole strumento di analisi politica non solo internazionale. Ci sono diversi ingredienti che meritano una attenta valutazione già come eventi singoli, ma ancor più spunti offrono se guardati nel quadro d'insieme. Queste rivolte che paiono nascere spontanee, ed in parte sicuramente lo sono, a causa, in prima battuta della situazione economica che va a legarsi in seconda battuta sul tema dei diritti negati, devono focalizzare il tema dell'autodeterminazione dei popoli. E' una banalità dire che non siamo nell'800 europeo quando ad esempio nacque l'Italia e non siamo neanche di fronte alla disgregazione dell'impero ottomano o di quello austro-ungarico con la conseguente nascita degli stati mitteleuropei. Quella situazione storica, che in quel particolare momento era di grande movimento sia culturale che sociale non si può certo paragonare all'era globalizzata nella quale viviamo. Inoltre siamo in stati già territorialmente definiti, quindi manca l'elemento della ricongiunzione con porzioni territoriali sotto ad altri ordinamenti e manca anche la lotta di liberazione da invasori stranieri, fase già vissuta anche in epoca recente, da tutti gli stati protagonisti dei sommovimenti attuali. Ci troviamo di fronte a rivoluzioni che appaiono esogene di popoli intenti a cercare una via alternativa a quella che stavano percorrendo, stanno cercando, cioè, di autodeterminare il proprio destino. La fase è molto delicata perchè più è prolungata più vi sono possibilità che organizzazioni non orientate alla soluzione democratica vadano a riempire il vuoto creato, andando, di fatto a peggiorare la situazione precedente (il caso Iraniano è eloquente e si caratterizza per molte similitudini con i casi attuali). Naturalmente non ci si muove in condizioni asettiche, di laboratorio, ogni paese non è isolato dal contesto internazionale e quindi sono da valutare le ripercussioni che questa autodeterminazione va a creare. Quello che si sta modificando è uno status quo, anche a livelllo di relazioni tra stati, frutto dell'incrocio di molteplici variabili: politiche, economiche e sociali. La domanda è questa: si può pensare che possano essere lasciati sgombri i campi di intervento da parte di attori esteri? No, non è possibile, per le implicazioni economiche (la presenza di gasdottti ed oleodotti o anche la presenza di giacimenti culturali patrimonio dell'umanità), politiche (occorre evitare l'insediamento di partiti religiosi estremisti per la pace della regione)ed anche culturali perchè vi è la necessità di costruire da zero una nuova classe dirigente. La variabile estera non è unica, sono diversi gli stati interessati a vedere come andrà a finire. Il più coinvolto appare Israele che sente farsi concreto il pericolo di essere circondato da paesi dove il peso politico mussulmano rischia di aumentare pericolosamente, ciò crea apprensione anche negli USA per il filo doppio che li lega a Tel Aviv; proprio per questo Obama sollecita una soluzione veloce e democratica che non consenta spazio ad integralismi di sorta, sopratutto in Egitto, paese chiave perchè confinante direttamente con Israele. La fluidità della situazione non consente previsioni certe, anche se il coinvolgimento di attori esterni si fa sempre più pesante, nessuno parla dell'Iran ma appare impossibile che dietro le fazioni mussulmane la spinta di Teheran sia assente, sopratutto dopo la politica di Ahmadinejad praticata al confine con Israele. In conclusione nel teatro globale nessun popolo può veramente autodeterminarsi in maniera totale ed anzi nel contesto attuale ogni pedina deve rientrare in uno schema o in un altro per fare quadrare il risultato finale.
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