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giovedì 30 giugno 2011
Cina: 90 anni di Partito Comunista
La Cina festeggia i primi novanta anni del Partito Comunista. Fondato a Shangai nel 1921 il Partito Comunista cinese guida la nazione più popolosa del mondo dal primo ottobre 1949, quando Mao Tse-Tung proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Nel periodo della sua vita il partito comunista più grande del mondo, attualmente sono circa ottanta milioni i cittadini cinesi con la sua tessera in tasca, ha mantenuto il potere in virtù di una ferrea censura interna e senza indulgere alle posizioni più critiche, stroncandole con metodica violenza. Il dominio sulla società ha assicurato l'esercizio di un potere decisionale totale, che sta alla base della crescita a due cifre del paese. Nonostante le sue dimensioni gigantesche, il partito è comunque una elite in un paese di un miliardo e trecento milioni di persone, ed il suo incremento si aggira sui tre milioni di nuovi tesseramenti annuali a fronte di ventuno milioni di domande d'ammissione. Dato il grande potere di indirizzo del partito, l'ingresso al suo interno è visto attualmente come ascensore sociale in un contesto che richiede la benedizione della casta dominante anche in questo momento di industrializzazione spinta. E' questo l'aspetto più rilevante del panorama internazionale ed anche storico: una contraddizione in termini, dove il partito che più dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori è invece lo strumento che ne garantisce la maggiore oppressione in nome di un processo di crescita nazionale sbilanciato a sfavore della manodopera. Lo sfruttamento della forza lavoro è maturato in un contesto di censura ma anche di corruzione, il male che più affligge il partito. Sopratutto nelle province più lontane dell'impero cinese, il potere dell'organizzazione partitica fa sentire ancora maggiormente il suo peso con indirizzi arbitrari e speculativi, che generano proteste e disordini spesso soffocati nel sangue, oltre che nel silenzio. Per i dirigenti cinesi questo anniversario è l'occasione di enfatizzare al massimo l'evento per mettere a tacere l'opposizione interna e fare apparire all'esterno un paese coeso, capace di marciare come un solo uomo. Tuttavia l'organizzazione parallela alle feste ed alle parate, ha preso le misure contro possibili manifestazioni di dissenso, blindando intere zone, come il Tibet, all'ingresso degli occidentali. La Cina, più volte ripresa da altre nazioni ed organizzazioni internazionali, vuole dimostrare con questi festeggiamenti l'unità nazionale, rivendicando la legittimità dei propri ordinamenti, ma essendo ben conscia di non potere sfondare sul piano internazionale senza assicurare quella dose minima di diritti di base al proprio popolo. Allora l'autocelebrazione del partito cinese serve a fortificare quella coscienza interna che giustifica l'autoreferenzialità del potere di fronte alla massa intera del popolo. In realtà dimostra anche la propria debolezza e l'incapacità di reagire, se non con mezzi antiquati, al vento modernizzatore che da tempo striscia nel paese, sebbene alimentato ancora da una minoranza.
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