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sabato 23 luglio 2011

La vicenda del debito USA ed una provocazione

Il dibattito intorno al debito pubblico americano è in realtà lo scontro tra due visioni di amministrare lo stato. La vittoria elettorale di Obama è arrivata grazie ad un programma imperniato sulla spesa pubblica orientata, in special modo, verso il welfare. Si è trattato della ricerca di un cambio della mentalità nel sistema americano, spostando ingenti voci del capitolo di bilancio verso aspetti prima tradizionalmente trascurati. L'aumento del volume di spesa, giunto alla difficile congiuntura economica, ha messo in grossa difficoltà le casse degli Stati Uniti ed Obama si è trovato a dovere gestire un programma non realizzato del tutto. A questo si può ascrivere, almeno in parte, il successo nelle elezioni di medio periodo del Partito Repubblicano, che, notoriamente, ha una minore propensione alla spesa statale , sopratutto nei confronti dell'ambito sociale. Questo dibattito, che ha assunto anche toni drammatici, se non dovesse arrivare ad una soluzione condivisa, potrebbe portare l'intera economia ad una crisi difficilmente superabile. Le proposta di Obama riguarda il taglio di alcuni programmi sociali che prevedevano una spesa ingente, tuttavia a copertura della sforbiciata, il presidente richiede un aumento delle tasse per rilanciare, almeno in parte il proprio programma elettorale. Obama ha già fatto con questa proposta un passo per andare incontro alla controparte, ma l'argomento delle tasse costituisce un tabù per la dirigenza repubblicana, che non si mostra intenzionata ad arretrare. Il vero nodo è il debito pubblico, il solo taglio della spesa pubblica non basta a diminuirlo considerevolmente, senza nuove entrate la bilancia non si muove abbastanza. Con questa situazione di stallo il pericolo di fallimento è sempre più dietro l'angolo. Alla fine ragioni puramente elettorali interne agli Stati Uniti, possono decretare un effetto domino sconvolgente per tutto il mondo. A peggiorare le cose l'appuntamento elettorale del 2012, che rischia di irrigidire ancora di più le rispettive posizioni grazie al timore di vedere eroso il capitale di voti per ciascun schieramento, che potrebbe assotigliarsi in caso uno o entrambi i contendenti cedessero troppo terreno rispetto alle posizioni di partenza. In questa situazione pensare ad una mediazione anche esterna sarebbe una ingerenza nella politica interna di uno stato? Dato l'alto tasso di globalizzazione, di cui gli USA sono sempre stati fautori, autorizza a pensare che, anche data la grandezza della potenziale ricaduta sul sistema economico globale, un eventuale intervento esterno, che potrebbe andare dalla semplice mediazione tra le parti fino ad una messa sotto tutela della politica finanziaria statunitense, non sia poi una idea così peregrina. L'evenienza potrebbe sembrare fantapolitica, ma si prenda, con le debite differenze, il caso greco o anche, sconfinando in altri campi, l'esportazione delle democrazia e non si può non ammettere che le analogie non siano presenti. E' chiaro che questa provocazione ha delle implicazioni fondamentali perchè in un caso simile gli USA abdicherebbero al proprio ruolo di prima potenza mondiale, portato avanti, peraltro, ultimamente con grande fatica. Del resto il solo pensare a questa possibilità è già qualcosa di epocale.

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