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venerdì 19 agosto 2011

Riformare il capitalismo?

Dopo il fallimento del comunismo siamo al redde rationem anche per il capitalismo? Fatta salva la democrazia, ormai imprescindibile dai sistemi politici avanzati, a che punto è la vita del sistema economico alternativo al socialismo? E' innegabile che per il secondo la morte è stata alla fin fine breve, il crollo del muro di Berlino ha provocato l'eutanasia di un sistema, comunque destinato a perire. Per il capitalismo, invece, siamo ad una lenta agonia, che sta trascinando con se conquiste sociali e progressi che parevano ormai dati di fatto. Qualcuno potrebbe obiettare che questi, per i sostenitori più accesi del capitalismo, erano proprio i freni che ne hanno determinato la malattia; tuttavia se si pone come condizione per individuare il capitalismo, l'espansione maggiore possibile del benessere, strumenti come il welfare erano proprio i mezzi, che in democrazia, ne garantivano la diffusione. Il dibattito tra i liberisti estremi e quelli che propugnavano l'attenuazione del capitalismo con forme più smussate, è sempre stato al limite del cruento, ma ora siamo al punto che quelli che rischiano di sparire sono i consumatori trascinando nell'abisso tutto il sistema. L'erosione di ricchezza cui è già stato sottoposto il ceto medio ha provocato un impoverimento generale che ha contribuito a contrarre i consumi ed ha scatenato una pericolosa sintomatologia che sta avendo una difussione velocissima. Agli episodi londinesi sono seguiti gli incendi di Berlino alle premium car, le auto super lusso simbolo di ricchezza e potere, mentre in precedenza in Spagna si sono presentati in piazza gli Indignados. Tuttavia mentre le proteste spagnole sono state pacifiche, il livello di violenza registrato in Inghilterra e Germania segnala la profondità di un malessere che mette in pericolo la tenuta della società. Il buon senso imporrebbe una cura drastica e non i panni caldi che i governi propinano ai loro popoli. Quello da cambiare è tutto il sistema che ha scandito la nostra vita finora; non si tratta ne deve trattarsi di una modalità violenta, ma deve essere per forza di cose condivisa. Il cardine è la redistribuzione del reddito, attraverso leggi, rispettate, ed aumento del welfare; la tassazione, proprozionale, deve essere rispettata ed infine occorre abolire la preponderanza del sistema finanziario su quello produttivo, il quale è l'unico capace di creare vero valore aggiunto. Non si tratta di una rivoluzione è chiaro, ne di mettere in pericolo la proprietà privata, si tratta di ristabilire una equità sociale in grado di garantire una vera diffusione del capitalismo e quindi del benessere. La regolamentazione del mercato deve essere un dato sicuro per impedire la sperequazione delle retribuzioni che, in questi ultimi anni, ha conosciuto picchi ormai insostenibili. La troppa diseguaglianza è un fattore di instabilità sociale che va prevenuto anche nell'ottica di un contenimento della delinquenza. Non sono obiettivi difficili da raggiungere, anche se l'avversario maggiore è il mercato globale, dove sullo stesso terreno si fronteggiano lavoratori con condizioni e salari differenti. Gli stati non si sono attrezzati, probabilmente volontariamente, per combattere questo nemico che gareggia in modo scorretto. L'Europa, ad esempio, ha strumenti sovranazionali per potere tutelare la sua popolazione, le sue aziende ed i suoi lavoratori. Quella che deve passare è una idea di riforma globale che favorisca lo sviluppo in maniera sostenibile per la totalità mondiale. Devono essere superate situazioni dove una piccola frazione di popolazione possiede la maggior parte delle ricchezze. Soltanto così il capitalismo potrà risorgere dalle sue ceneri, altrimenti la prospettiva è il disordine è l'impoverimento generale.

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