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Politica Internazionale
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sabato 3 settembre 2011
Il mancato protagonismo della politica estera della Russia
La Russia contesta le sanzione della UE alla Siria. La politica estera russa fatica a trovare una via per essere di nuovo protagonista, come ai tempi del regime comunista e resta arroccata su posizioni poco flessibili. Il caposaldo della diplomazia di Mosca è la non intromissione negli affari interni dei paesi esteri, fattore che l'accomuna alla Cina, che peraltro risulta, invece molto attiva sul piano internazionale, grazie alla sua politica economica notevolmente espansionista. La Russia pare prigioniera dei vecchi fasti sovietici e non trova una via concreta per riaffermarsi. Persi i paesi del patto di Varsavia che hanno puntato ad ovest, la politica estera non ha più trovato una dimensione da grande potenza, restando per lo più confinata nei territori dell'ex impero sovietico. Anche sui grandi temi la Russia appare come attore marginale, sempre dietro gli USA, alla UE ed alla stessa Cina. Anche l'intervento sui fatti siriani non fornisce una impronta decisa in una direzione specifica. Tradizionale alleata della Siria, la Russia non approva le sanzioni al regime di Assad, che paiono, invece una risposta dovuta da parte della comunità internazionale alle violenze sui manifestanti, che hanno gettato il paese in un clima di terrore e repressione. Anzichè adoperarsi per un clima più disteso ed anche una eventuale transizione, proprio in virtù dell'influenza su Damasco, Mosca si limita a denunciare le sanzioni, che definisce unilaterali, perchè raramente risolvono qualcosa. In effetti, per ora, le sanzioni UE, non hanno prodotto una diminuzione dell'uso della forza da parte del regime, ma hanno avuto comunque il merito di focalizzare le violenze di Assad e ne sono l'esplicita condanna da parte di un soggetto internazionale. Il caso siriano rappresenta il chiaro esempio della decadenza dell'influenza di Mosca, che non riesce ad assumere una posizione di primo piano nell'agone internazionale, limitandosi ad interventi che sfiorano quelli di circostanza. A rafforzare questa visione vi è una assenza di importanza strategica del regime siriano per Mosca, per cui la mancata condanna di Assad denuncia una chiara volontà di mantenere un basso profilo. Una motivazione potrebbe essere quella di cercare una sorta di dialogo per favorire una fine della repressione, ma ciò non sembra essere vero, giacchè non si tratta di mediare tra due stati nemici, ma tra opposti schieramenti dello stesso stato. Un'altra ipotesi potrebbe essere approcciare il problema in maniera morbida per potere prevenire sviluppi come quello libico, soluzione peraltro meno probabile, per non essere coinvolti con un voto del Consiglio dell'ONU, dove l'astensione russa e cinese, data controvoglia, ha consentito l'intervento in favore dei ribelli. Questa soluzione potrebbe sembrare più verosimile perchè permette alla diplomazia russa una sorta di riorganizzazione, ipotesi supportata dalla sorpresa con cui Mosca si è accorta dei sommovimenti arabi. In effetti il fatto che la politica estera russa non stia vivendo i tempi attuali da protagonista genera più di una domanda ed una delle risposte più probabili è che la velocità della primavera araba, abbia colto di sorpresa la diplomazia di Mosca, obbligandola ad un ripensamento ed una riorganizzazione necessaria per affrontare le prossime sfide.
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