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Politica Internazionale
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lunedì 5 settembre 2011
Le navi militari turche potrebbero forzare il blocco di Gaza
Se il proposito della Turchia di fare affiancare le proprie navi umanitarie, dirette alla striscia di Gaza, dalle navi militari della propria marina, dovesse concretizzarsi, il pericolo di uno scontro armato con Israele avrebbe grandi probabilità di diventare concreto. Mai come ora Israele è davanti ad un bivio tanto pericoloso, o ricomporre la diatriba con Ankara o perseverare nella propria posizione. Va anche detto che alla Turchia potrebbe non bastare la sola ricomposizione diplomatica, ma potrebbe anche pretendere comunque, la rimozione del blocco navale dalla striscia di Gaza, come contropartita per la riparazione al precedente incidente. Se Israele, ormai di fatto isolato nella regione, dovesse restare arroccato sulle posizioni che prevedono il blocco navale di Gaza, è difficile prevedere le conseguenze del possibile scontro armato. Dal punto di vista militare occorre ricordare che la Turchia è membro NATO, quindi se attaccata tutta l'alleanza deve rispondere a fianco di Ankara, ma gli USA sono anche i principali alleati di Israele, ed entrerebbero in un delicato dilemma. L'ONU, che ha grande responsabilità sulla rottura diplomatica, per avere emesso una risoluzione pilatesca sui fatti della flottiglia, dove condannava l'azione israeliana, ma nello stesso tempo ne avvalorava la scelta di avere messo il blocco navale di fronte alla striscia come proprio diritto, è entrato in fibrillazione, e sta cercando in tutti i modi di scongiurare lo scontro. Tuttavia l'azione delle Nazioni Unite non sembra credibile alla Turchia proprio per non avere saputo dirimere la questione. Infatti il governo turco si è mosso verso la Corte di giustizia dell'Aja, dove ha presentato il quesito sulla legittimità, per il diritto internazionale, del blocco navale di Israele. D'altro canto la Turchia ha affermato che accetterà, quale sarà, il giudizio della corte. La probabilità di un giudizio favorevole ad Israele non appaiono, tuttavia, consistenti. Come sarà la reazione di Tel Aviv in caso sfavorevole? Esistono notevoli perplessità sulla flessibilità di Nethanyau, che rischia di trascinare il paese in un conflitto assurdo e che sta provando anche problemi notevoli di politica interna, peraltro già avezzo alle violazioni del diritto internazionale. L'unico intermediario valido per risolvere in qualche modo la questione, sembrano gli Stati Uniti, che già da tempo stanno monitorando la situazione. Washington non può perdere un alleato strategico come la Turchia, contro il quale non può agire militarmente per il vincolo NATO, ma non può agire neppure contro Israele. Una soluzione potrebbe essere appoggiare la richiesta turca di liberare Gaza dal blocco navale, rimettendo, ad esempio il controllo del contenuto degli aiuti per evitare il rifornimento di armi, ai caschi blu dell'ONU per un certo periodo e nello stesso tempo pressare Tel Aviv per accelerare il riconoscimento dello stato palestinese. Viceversa lo staff di Obama può cercare di convincere la Turchia a rinuciare ai suoi propositi, ma senza contropartite da offrire è praticamente l'impresa è praticamente impossibile. Si ritorna quindi al punto di cui sopra, senza un passo indietro di Israele si va incontro ad un destino pericoloso.
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Volevo solo precisare per i lettori che non lo sapessero, che l'Alleanza Atlantica non "deve" obbligatoriamente rispondere all'attacco di uno dei suoi membri. E' evidente che in caso di conflitto tra Israele e Turchia gli Usa (e il resto dell'Alleanza) si troverebbero a valutare il dilemma di cui sopra, tuttavia l'articolo 5 del trattato del Nord Atlantico non contempla alcun obbligo. La citata norma dispone invece che i membri dell'Alleanza abbiano il diritto di consideare l'attacco a un loro alleato "come un attacco diretto contro tutte le parti".
RispondiEliminaMichele Vannucchi
Grazie infinite per la precisazione, che, sbagliando ho dato per scontata, la mia valutazione è stata solo di tipo politico.
RispondiEliminaGrazie ancora e saluti