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sabato 8 ottobre 2011
Redistribuzione: una necessità mondiale
Per una volta gli USA arrivano dopo, non fanno tendenza e sono ad inseguire. Fa specie vedere che gli Stati Uniti si accodano al sentire sociale di movimenti che stanno tracciando la strada in nome di una diversa percezione dell'ordine presente. Anche se può sembrare strano accomunare la piazza egiziana, gli indignados spagnoli, le tendopoli di protesta israeliane ed i cittadini che occupano Wall Street, esiste un denominatore comune che associa persone di diversa religione, etnia e possibilità: manifestare contro le enormi differenze generate da storture del sistema economico ed anche politico. E' vero che per gli egiziani, e prima per i tunisini, poi i libici e via di seguito l'enorme seguito delle primavere arabe, la molla che ha fatto scattare la ribellione è stata individuata nella mancanza di libertà derivante dalle dittature, ma anche l'aspetto economico ha pesato in maniera determinante per la discesa in piazza. E' questo l'aspetto che più accomuna sud e nord del mondo, a volte vicini anche fisicamente, solo poche miglia di mare con la Spagna, la mancanza di opportunità causata dalla scarsa redistribuzione del reddito in favore di concentrazioni sempre maggiori della ricchezza. Che sia in ragione di sistemi dittatoriali di tipo politico o più soft, di tipo prettamente finanziario, la compressione delle possibilità, della restrizione del margine operativo delle risorse economiche della maggioranza dei cittadini, ha chiaramente superato il livello di guardia. Negli Stati Uniti, non in Egitto, il paese delle opportunità, del sogno americano, l'uno per cento della cittadinanza detiene la gran parte della ricchezza a discapito del restante novantanove per cento. Ci sono dati, tra le pieghe delle statistiche americane, che si possono definire soltanto orribili; dati che segnalano una povertà terribile nel paese più ricco del mondo: uno per tutti la vita media del bracciante agricolo statunitense è di soli 49 anni. Così si spiega la velocità di diffusione, una vera e propria macchia d'olio, della protesta negli USA, che malgrado le tante avvisaglie, sta cogliendo di sorpresa i governi statali e quello federale. Per ora la sola risposta è stata una ondata indiscriminata di arresti che segnala il chiaro disorientamento della politica americana. Difficile prevedere come andrà a finire, ma questa volta senza una radicale riforma del sistema finanziario, è molto probabile che chi dimostra possa aumentare in modo esponenziale. Per Obama si tratta di un grosso problema, alla vigilia delle elezioni. Chi va in piazza è lo zoccolo duro del suo elettorato, senza quei voti una riconferma è impossibile, ma per le riforme di cui c'è bisogno, occorrerebbe avere la maggioranza alla camera, dove i repubblicani operano un vero e proprio fuoco di sbarramento a difesa del liberalismo più spinto, vero colpevole della crisi economica. Tuttavia proprio quelle leggi del mercato che hanno originato lo sfascio attuale potrebbero venire in aiuto dei dimostranti. La contrazione della produzione dei paesi emergenti, entrati nel vortice dell'inflazione, provocherà una riduzione del PIL mondiale, a quel punto solo una diversa allocazione delle risorse, operata per legge potrà salvare il mondo in cui viviamo. Una nuova visione della fiscalità dovrà essere il primo passo per girare i capitali finanziari verso investimenti produttivi in grado di assicurare lavoro e consumi. L'obiettivo deve essere redistribuire la ricchezza in proporzioni più favorevoli per la maggioranza dei cittadini, assunto che vale per tutti i paesi. Senza diminuire il peso della finanza il destino è una sommossa continua e continuata.
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