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lunedì 28 novembre 2011
Hamas ed Al fatah più vicini
Anche in Palestina si comprende l'importanza di annullare nel modo maggiormente possibile le differenze tra le due formazioni di più grande peso. Se questo è obiettivamente un progetto ancora troppo ambizioso, per le note distanze, l'avere compreso che intessere sempre maggiori legami tra i due movimenti rappresenta l'unico viatico per trovare quella unità del popolo palestinese necessaria alla costruzione dello stato. L'incontro avvenuto ad Il cairo il 25 novembre cerca di percorrere pienamente questa direzione, almeno nella forma dove si usa la rassicurante formula di avere rimosso ogni divergenza tra le due parti, cosa, ovviamente non vera, ma che segnala l'ampia volontà delle due formazioni di trovare un'intesa comune sempre crescente. Il primo appuntamento di rilievo concordato, entro il piano più vasto ed ambizioso di riconciliazione nazionale, sono le elezioni previste per il prossimo maggio. Si tratta, è bene dirlo subito, di una data che difficilmente potrà essere rispettata, perchè frutto di una previsione troppo ottimistica, minata dalle sempre presenti difficoltà di trovare una intesa sulla costruzione del nuovo esecutivo palestinese. Intorno alla questione del governo ruota l'accordo di riconciliazione nazionale, che doveva essere il collante principale per la ricostruzione dello strappo tra i due movimenti avvenuto quatro anni prima. In particolare Hamas si è irrigidito nella propria contrarietà al nome designato da Al Fatah, che altri non è l'attuale premier in carica: l'ex economista della Banca mondiale Salam Fayyad. Tuttavia sull'altro punto cruciale, che anzi ha risvolti programmatici ben maggiori, l'intesa è netta e rappresenta l'istituzione di uno stato palestinese entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Anche sul piano militare la necessità di mantenere la tregua con Israele è condivisa da entrambe le parti; ciò significa molto, sopratutto per Hamas, perchè si riconosce che il processo di pace deve essere perseguito senza atti di terrorismo. Si tratta di una posizione che, tra l'altro, mette in grossa difficoltà Israele, che conta sull'estremismo di Hamas per trovare giustificazioni sempre nuove alla politica violenta del governo in carica di Tel Aviv, sopratutto sul tema delle colonie abusive che vengono di fatto permesse da Netanyahu. Inoltre la sempre minore divisione tra i due maggiori movimenti palestinesi mina una dei caposaldi della politica israeliana che contava, ed alimentava questa divisione proprio per allontanare lo spettro della creazione dello stato palestinese. Dietro il pesante lavorio per la distensione e l'accordo tra i movimenti palestinesi si distingue e si muove l'azione egiziana, che ritiene fondamentale per il grande paese confinante la creazione dello stato palestinese, come fattore di stabilizzazione regionale e l'allontanamento definitivo del problema alle proprie frontiere. Del resto una situazione stabilizzata su questo fronte, che da troppi anni mantiene una temperatura troppo elevata, va al di la del benessere del medio oriente ma riguarda il mondo intero. Una regolarizzazione definitiva della questione che comprendesse finalmente la creazione dello stato di Palestina, toglierebbe parecchie argomentazioni ad un estremismo islamico sempre più crescente ed operante in diverse aree del pianeta.
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