Mentre quello che affligge l'economia è il debito pubblico delle nazioni, sempre maggiore è la domanda di quanto sia legittimo fare ricadere sulla totalità della popolazione di uno stato questo costo. Se può essere giusto contribuire alla copertura del prestito per la costruzione di opere sociali, come le infrastrutture, che migliorano la vita della comunità, pare evidentemente assurdo caricare su contribuenti già tassati pesantemente, la rifusione per debiti contratti per scopi oscuri o peggio deleteri. Il meccanismo della democrazia, che prevede nel mandato elettorale la piena e libera azione governativa degli eletti di maggioranza, ha, in questo particolare caso, quello che gli informatici chiamerebbero un buco di sistema. In Italia, ad esempio, si è cercato di tamponare la falla mettendo al governo un gruppo di cosidetti tecnici, sommando un errore all'altro. Il mancato rapporto con il corpo elettorale ha creato un mostro giuridico che governa senza che il suo programma sia stato vagliato ed eventualmente approvato con il voto. Ma anche questa è un'obiezione facile sa smentire: in nessuna parte dl mondo alcuna forza partitica presenta presenta un programma così dettagliato da potere essere contestato nei particolari, che, però, fanno spesso la differenza. Inoltre non esiste una forma sanzionatoria, in nessuna nazione, per quei governanti che non raggiungono gli obiettivi proposti. Se questo è vero a livello politico, cioè quando le decisioni non sono ancora entrate nei confini dell'operatività pura, con tutte le conseguenze relative, nel momento in cui si deve fare un consuntivo, numeri alla mano, ogni responsabilità è assente. Questo fatto è intimamente legato al problema del debito pubblico, che viene caricato sulla collettività e spesso addirittura sulle generazioni future, senza che vi sia una sanzione per chi ha contratto questo impegno economico senza che vi sia almeno un beneficio tangibile. Impossibile non fare rientrare nel discorso la deriva partita dagli anni ottanta, quando si è cominciato a virtualizzare il valore, spostandolo da quello reale a quello fittizio, rispondendo alla richiesta del mondo della finanza e delle banche. Non è un caso che proprio a quegli anni, caratterizzati dalla premier inglese detta la Lady di ferro e dall'attore presidente degli USA, si sia iniziato a cumulare il debito pubblico che ora non è più sostenibile, per i mutati assetti produttivi e geopolitici. L'affermazione della concezione ultra liberista ha spostato gli obiettivi dell'azione di governo che sono diventati non più a lungo periodo ma si sono stabilizzati su obiettivi di breve e brevissimo periodo, con la conseguenza di elaborazione di politiche che necessitavano di sempre maggiore denaro da spendere velocemente. L'abuso di queste pratiche ha favorito, accrescendone a dismisura l'importanza, istituzioni finanziarie e creditizie, non più operanti per il bene collettivo, con il giusto guadagno si intende, ma che hanno incentrato la loro azione sulla più totale speculazione. Oggi siamo al paradosso che una azienda che possiede brevetti, impianti e prodotti reali, è spesso quotata con minore valore di una start up senza alcun bene materiale. L'ingresso nel mondo produttivo di paesi in grado di portare una manodopera a basso costo ha abbassato verso il basso la qualità del lavoro e della vita dei lavoratori, generando differenze sociali ormai non più colmabili e la globalizzazione ha fatto il resto. Spesso si è parlato della globalizzazione come evento non evitabile, dato dal fatto nell'ingresso del mondo industriale di nuovi soggetti, con appunto grande disponibilità di manodopera, ma ciò è stato solo una conseguenza non il motivo scatenante, perchè la globalizzazione è il sovvertimento studiato a tavolino per favorire la speculazione. Torniamo così all'inizio: è legittimo chiedere alla totalità della popolazione di pagare debiti contratti in questa maniera? Se si guarda all'evoluzione degli ultimi trenta anni non è possibile accettare questa imposizione. Se si pensa alla Grecia, che rappresenta un possibile futuro di diversi paesi europei, dove si è addirittura persa la sovranità nazionale e si è ridotto un intero popolo in povertà, non si può che essere mossi da indignazione. Le ripercussioni sociali potenziali tremende ed i disordini sociali fin qui accaduti non sono che poca cosa di fronte a ciò che potrebbe accadere potenzialmente. I governi hanno scelto di difendere le banche, quali detentrici e dispensatrici ormai istituzionali del credito, il ragionamento è coerente fintanto che si vuole mantenere gli istituti bancari al centro del sistema economico, appunto come collettori del credito attraverso il quale favorire la crescita. Ma le banche sono uno dei massimi punti deboli del sistema, in quanto hanno operato, salvo poche eccezioni, per il proprio esclusivo guadagno, speculando con l'acquisto e la rivendita di titoli spazzatura ed accumulando un credito molte volte non più esigibile, proprio per avere messo nel portafogli titoli che nel brevissimo periodo assicuravano dividendi vertiginosi.
Per sopravvivere le banche devono ricevere aiuto dalle banche centrali, ma non assolvono più il loro ruolo istituzionale e non forniscono credito all'economia che non può crescere, perchè il denaro ricevuto serve esclusivamente a coprire i loro debiti e quindi la loro sopravvivenza. Ma il sistema economico attuale è fondato sulla crescita, senza di questa manca il gettito fiscale e lo stato è costretto a nuovi debiti da contrarre soltanto per sopravvivere, senza più dare quei servizi che dovrebbero essere forniti grazie al pagamanto delle imposte. A questo punto il cerchio è chiuso ed il sistema economico si avvita su se stesso in una spirale sempre più stretta che non può che concludersi con il fallimento. Perchè non saranno certo gli interventi tampone dei diversi governi a risolvere la questione, ma soltanto a prolungarne l'agonia. Una soluzione sarebbe una moratoria di una gran parte, almeno, del debito pubblico totale di uno stato, cioè di quella parte sicuramente legata a speculazioni che nulla hanno avuto a che fare con il benessere della collettività, sarebbe un modo di ripianare enormi differenze sociali create con la speculazione, che hanno penalizzato il lavoro e sopratutto sarebbe una nuova partenza per un sistema più equo. Se questa soluzione sembra utopica, e per certi versi lo è senz'altro, si pensi all'alternativa che si potrà presentare quando intere nazioni saranno messe sull'orlo della miseria per assenza di provvedimenti efficaci: a quel punto sarà compromessa ogni stabilità sociale, nazionale e sovranazionale e si sfiorerà una nuova età della pietra.
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