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venerdì 9 marzo 2012
Siria: le ragioni del non intervento
Mentre continuano i massacri della repressione siriana, è lecito interrogarsi sul perchè del mancato intervento internazionale, come accaduto ad esempio in Libia. Pur essendo vero il fatto che in questa occasione Cina e Russia tengono bloccata, con il loro veto in sede di Consiglio di Sicurezza, una possibile azione della Nazioni Unite, risulta essere altrettanto veritiero il fatto che nessuna nazione osa mettersi contro il regime di Assad, come fu fatto con Gheddafi, quando Francia ed Inghilterra iniziarono i bombardamenti su Tripoli in anticipo sulla decisione dall'ONU. Per ora la tendenza di USA ed UE, i soggetti che più probabilmente potrebbero agire in difesa della popolazione siriana, è di esercitare una pressione diplomatica sempre più forte su Damasco, tramite sanzioni che stanno diventando sempre più aspre, ma che non ottengono alcun risultato. La ragione principale dell'immobilità occidentale, in special modo americana, è il rischio di un'accelerazione del conflitto con l'Iran, sul quale Obama sta prendendo tempo. Questa motivazione gioca a favore di Assad, ben conscio che se la Siria fosse messa sotto attacco, Teheran non esiterebbe a rispondere in sua difesa. Anche il belligerante atteggiamento israeliano, tenuto a freno a stento da Washington, gioca a favore del regime siriano, perchè alza la temperatura nella regione e costituisce un elemento di distrazione dalla repressione. Per Obama, forse più che per gli USA, il momento è il meno propizio per imbarcarsi in una nuova operazione militare, alla vigilia delle elezioni, infatti, un nuovo impegno bellico potrebbe spostare un buon numero di voti da uno schieramento all'altro. In quest'ottica va forse letta la dichiarazione del senatore Mc Cain, sfidante repubblicano di Obama alle scorse elezioni presidenziali, in favore di bombardamenti dal cielo sulle forze regolari siriane per fermare i massacri. Va però detto che le difese militari di cui dispone la Siria sono ben più avanzate di quelle di Gheddafi ed in un'azione contro Damasco va messo in conto un potenziale numero di perdite maggiore. Resta il fatto che secondo le Nazioni Unite il numero di morti oltrepassa le 7500 unità ed il mondo non può continuare ad ignorare una qualche forma di intervento ben più pesante delle sanzioni. I paesi arabi, dal canto loro continuano a perseguire l'idea di armare i ribelli, soluzione però già manifestamente insufficiente per la forza e la qualità delle truppe siriane, che, inoltre, dispongono dell'appoggio di milizie iraniane ed Hezbollah; inoltre l'estrema divisione dell'opposizione siriana, che abbraccia un vasto panorama che va da movimenti democratici ad integralisti islamici, non facilita il compito di trovare un interlocutore univoco per un'eventuale operazione militare. Anche trovare una sponda favorita da eventuali defezioni dall'apparato di regime, per combatterlo dal suo interno, risulta molto difficile per la ramificazione estesa fin dentro i più piccoli centri di potere, costruita dalla setta alawita di Assad. Tuttavia ormai il presidente siriano risulta ormai non più presentabile agli occhi del mondo, anche per i pochi alleati importanti che gli sono rimasti. La stessa Russia, pur mantenendosi ferma nelle proprie posizioni, ha più volte richiesto, non ascoltata, la fine della repressione, segno di profondo disagio di fronte al panorama internazionale. Soltanto Ahmadinejad continua ad appoggiare Assad ed a sposarne le tesi che giustificano la repressione, come legittima difesa contro attacchi terroristici. Ma l'isolamento del mondo e la sua avversione, per il momento non consentono una caduta rapida e la fine delle violenze. In queste condizioni pur potendo prevedere anche una certa resistenza, la vittoria finale sullo scenario siriano è tutta per Assad, anche se le previsioni sulla sua permanenza al potere sul lungo periodo non possono che essere negative. Intanto occorre stare a vedere cosa farà Israele: se dovesse attaccare l'Iran, per la Siria verrebbe meno una delle ragioni che gli hanno permesso di agire impunemente con la repressione. Se l'intenzione sarà di cancellare il regime iraniano, anche per quello siriano sarebbe la fine, perchè a quel punto sarebbe più facile intervenire anche per altri paesi. Ma anche senza conflitti non pare praticabile una permanenza di Assad al potere, la situazione è irrimediabilmente compromessa e non è peregrina la possibilità di una incriminazione alla Corte dell'Aja, in quel caso una via di uscita potrebbe essere un esilio dorato in Russia per il dittatore ed il suo gruppo di potere.
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