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martedì 3 aprile 2012
Sale la disoccupazione nell'area euro
La zona euro è alle prese con un nuovo rialzo della disoccupazione, avendo toccato la quota record del 10,8% a febbraio. Si tratta del valore più altro da quando è stata creata la moneta unica. E' una tendenza che non subisce variazioni essendo ben dieci i mesi consecutivi che il dato oltrepassa il 10%. Siamo davanti, ormai ad una crisi strutturale del sistema euro, causata dall'indebitamento degli stati e da un periodo recessivo che appare divenuto sistemico. L'economia paga una navigazione a vista, che non comprende politiche e programmi di grande respiro e che, sopratutto, sconta divisioni profonde tra le vedute dei singoli governi non coordinati dall'istituzione centrale europea. E' proprio la debolezza politica di Bruxelles, uno dei punti deboli dell'intero sistema dell'euro, non avendo i necessari strumenti giuridici gli eurocrati si limitano a recepire le decisioni degli stati più forti, che si sono arrogati la guida dell'euro, subendo anche decisioni in contro tendenza con lo spirito comunitario. L'assenza di una politica finanziaria comune, che riesca a pianificare la necessaria costruzione delle infrastrutture, ormai insufficienti, è poi una causa della disoccupazione direttamente discendente dalla mancanza di programmazione politica. Ma manca anche un necessario supporto centrale alle imprese, capace di supportarle, sia negli aspetti legali, che economici, che organizzativi, nei confronti dei paesi emergenti, che possono, per ora opporre una maggiore competitività, grazie al migliore costo del lavoro e processi burocratici più snelli. I dati sulla disoccupazione, oltre che un chiaro segnale di difficoltà economica, che si riflette nell'ambito sociale, rappresentano un grave fallimento delle politiche comunitarie incapaci di imporsi su quelle statali e di arginare il fenomeno, che, per altro, si riflette anche nella forza lavoro immigrata, anch'essa colpita dal trend negativo. Significa che oltre al lavoro più qualificato, mancano le occasioni per impieghi di minore professionalità. Il risultato è una economia sempre più avvitata su se stessa a cui alla attuale fase recessiva, seguirà la stagnazione. La sempre minore disponibilità del sistema di liquidità non potrà che peggiorare le cose mandando definitivamente in crisi oltre che l'industria, anche il commercio, andando ad aumentare l'esercito dei senza lavoro, con ovvie ricadute sulla stabilità sociale. Se il dato aggregato europeo è del 10,8%, la situazione europea vista nei singoli paesi è tutt'altro che uniforme e si presenta a macchia di leopardo. La Spagna ha un tasso di disoccupazione addirittura peggiore di quello greco 23,6% contro il 21%, Portogallo ed Irlanda si aggirano attorno al 15% ed in Italia è del 9,3%. Questi sono i casi più gravi, chiaramente influenzati dalla ricaduta degli effetti del debito pubblico, che toglie finanziamenti alle imprese, costrette a tagliare sul personale. Meglio va in altri paesi come in Austria (4,2%), Paesi Bassi (4,9%), Lussemburgo (5,2%) e Germania (5,7%). In Belgio, il tasso di disoccupazione è salito al 7,2%. Difficile essere avere previsioni positive su quei paesi che hanno fortemente tassato i redditi fissi per riparare ai guasti di finanze pubbliche dissennate e che, guarda caso, sono anche quelle nazioni dove si registrano i valori di disoccupazione più elevati. Minore disponibilità di potere di acquisto non può che fare contrarre la spesa per famiglia e lasciare la merce invenduta nei magazzini, con il conseguente abbassamento degli ordinativi industriali e quindi ulteriore taglio occupazionale. Senza politiche del lavoro in grado di contenere la parte del salario direttamente girata verso le tasse, non può innescarsi alcun circolo virtuoso; se lo stato ha bisogno di nuove entrate occorre che si rivolga non più al lavoro ma al capitale, ormai non è più solo una questione di equità sociale.
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