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giovedì 31 maggio 2012
La situazione siriana resta senza sblocco
La situazione siriana subisce una stasi diplomatica, che ha il solo risultato di favorire i massacri, il cui conto è pagato principalmente dalla popolazione civile. Le formazioni ribelli, che si battono contro l'esercito regolare, nei cui effettivi cresce il numero dei disertori, hanno invitato l'inviato dell'ONU e della Lega Araba Kofi Annan a dichiarare ufficialmente il fallimento del suo piano di pace, sancito dai mancati effetti, che tanto erano attesi sia nel paese siriano, che in tutta la platea diplomatica. La situazione siriana, infatti continua a destare viva preoccupazione, sia nelle cancellerie occidentali, che in quelle orientali, per il tanto temuto allargamento del conflitto in una zona nevralgica degli equilibri mondiali. In effetti la presa d'atto del fallimento del piano di Annan è ulteriormente dimostrata dalle ripetute violazioni dell'ultima tregua proclamata e concordata fino dalla metà di Aprile. L'esercito regolare ha mantenuto le sue posizioni, impedendo non solo la creazione di corridoi umanitari in grado di alleviare la sofferenza dei civili, ma aumentando la repressione con violenti bombardamenti. Anche l'atteggiamento dell'ambasciatore siriano all'ONU non è sembrato conciliante, riversando l'intera responsabilità dei massacri su quelle nazioni che, parteggiando per i ribelli, continuano a rifornirli di armi. In questo quadro trovare un accordo resta impossibile e l'immobilità congiunta di Cina e Russia non aiuta alcuno sviluppo positivo. Se Pechino e Mosca insisteranno nell'imporre l'astensione militare all'ONU non sarà impossibile che altri soggetti decidano di intervenire in armi di propria iniziativa. La questione è comunque complessa perchè senza l'ombrello delle Nazioni Unite, un intervento militare nasce privo dell'adeguata copertura diplomatica ed è più facilmente attaccabile sul piano politico, in prima battuta, e militare in sequenza. Tuttavia la soluzione militare è quella che sta acquisendo maggiori possibilità di essere intrapresa; in questa fase si nota l'attivismo del neo presidente francese Hollande, che spera di convincere sia la Cina, che la Russia a cambiare atteggiamento di fronte al regime siriano, anche se l'opzione militare è soltanto una possibilità sul tavolo delle trattative, dove sono presenti anche ulteriori inasprimenti delle sanzioni già in atto contro Damasco. le idee di Hollande sarebbero condivise dal premier inglese Cameron, in una sintonia franco-inglese già sperimentata contro la Libia di Gheddafi. In ogni caso per Assad il destino sembra segnato, gli ultimi massacri compiuti lo hanno reso definitivamente non presentabile come alleato od interlocutore di qualsiasi soggetto internazionale. Resta da vedere quanto tempo potrà ancora resistere e sopratutto il destino che lo aspetta. Senza una exit strategy concordata con i suoi storici alleati russi o al limite gli iraniani, per il presidente siriano il destino più probabile appare come una replica del rais libico, la sua immagine appare troppo compromessa per potere sperare in qualcosa di meglio che un esilio dorato lontano il più possibile dalla scena pubblica, possibilità che però potrà verificarsi soltanto con l'avvallo di paesi non aderenti alla Corte dell'Aja. In tutto questo stride il silenzio americano, provocato da una campagna elettorale ormai alle porte, che non permette ad Obama impegni troppo vincolanti in politica estera. Ragionevolmente gli USA si terranno alla larga dalla questione, se non per aspetti marginali e di secondo piano, a meno che la situazione non degeneri a tal punto da coinvolgere Israele: a quel punto l'intervento degli Stati Uniti sarebbe obbligatorio.
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