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venerdì 1 giugno 2012
Israele alle prese con la paura della bomba iraniana
In Israele non si smorza il dibattito su di un possibile attacco preventivo all'Iran, al fine di contenere la progressione di Teheran verso l'acquisizione definitiva della tecnologia per la costruzione della bomba atomica. Il paese vive in uno stato di agitazione che si sta allargando a macchia d'olio, non solo più tra i vertici militari, ma anche nella popolazione civile. Le sanzioni cui l'Iran è sottoposto sono percepite come una misura insufficiente e facilmente aggirabile dal governo iraniano ed il fatto contribuisce ad aumentare nella sfiducia verso la soluzione diplomatica. Per gli israeliani, Teheran, di fronte alla pressione diplomatica, starebbe soltanto guadagnando tempo per raggiungere il proprio obiettivo. L'opzione militare torna così prepotentemente di attualità a causa del crescente nervosismo della società di Israele. L'impatto emotivo, che riveste il fatto di una minaccia atomica concreta, è una novità per la popolazione israeliana, abituata si a situazioni di tensione forti ed anche prolungate, ma comunque limitate sopratutto in uno spazio fisico ben definito e mai riguardanti la totalità del territorio dello stato. Anche la consapevolezza della forza militare dell'esercito israeliano, in una fase di attacco atomico, perde di peso di fronte ad una minaccia così rilevante. Certo Israele possiede una capacità di risposta analoga e maggiore per intensità ad un attacco atomico, ma ciò significherebbe soltanto una ecatombe nella regione, che metterebbe a rischio l'esistenza stessa dello stato. Anche l'atteggiamento USA, il maggiore alleato di Israele, improntato alla cautela, costituisce un ulteriore fattore destabilizzante per la società israeliana, nella cui maggior parte non viene compresa la ritrosia statunitense ad un attacco preventivo, giudicato ormai il minore dei mali. Quello che si teme concretamente in Israele è arrivare ad un punto in cui sarà troppo tardi per una azione capace di impedire in tempo all'Iran di sviluppare la bomba atomica. Per come è costruito lo stato israeliano e per come è organizzata la sua società, sempre allerta per le minacce provenienti dall'esterno e con il complesso di essere, molte volte non a torto, un bersaglio troppo importante per una parte consistente del mondo, questa situazione di stallo è oggettivamente difficile da sostenere. Il dilemma tra avere uno stato che chiama Israele entità sionista, ed usa questa propaganda in modo massiccio per avere sempre maggior presa sul mondo arabo, in possesso della bomba atomica ed esercitare una opzione militare che stronchi questa possibilità, pende chiaramente per la seconda soluzione. Inoltre lo scorrere del tempo non aiuta: il Vice Primo Ministro Moshe Yaalon è convinto che all'inizio del prossimo anno, senza azioni che ne impediscano i progressi, l'Iran avrà la sua bomba nucleare. Quindi tensione e fretta rischiano di fare precipitare la tensione, anche se le osservazioni dell'ex capo del Mossad Meir Dagan, una delle poche voci contrarie all'azione militare, pone delle osservazioni, che dal punto di vista diplomatico e strategico sono molto difficili da non considerare. Secondo Dagan infatti un attacco israeliano permetterebbe una forte coalizione del mondo arabo contro Tel Aviv, che al momento non è così coesa, inoltre i dubbi dell'ex capo del Mossad sono anche di natura prettamente militare perchè non ritiene che Israele abbia le complete capacità logistiche per attuare il bombardamento preventivo, sopratutto senza l'appoggio materiale degli USA, che al momento non è garantito. In effetti le forze armate israeliane sono costruite su di un modello di difesa del territorio, che non prevede grandi mezzi per operazioni al di fuori dei propri confini. Tuttavia in una situazione fortemente condizionata dalla paura, una azione singola, addirittura con concordata con Washington, non è da scartare a priori; d'altra parte è se i progressi iraniani sono veritieri è anche comprensibile la voglia di azione israeliana. In tutto questo clima di profonda incertezza, sempre che la situazione non precipiti in maniera irreparabile, la diplomazia mondiale, anche tra chi non è alleato o non intrattiene rapporti al di là della cortesia internazionale, dovrebbe attivarsi tutta per scongiurare una eventualità i cui effetti non sembrano essere soppesati in maniera adeguata. Oltre l'ONU devono essere le potenze del Consiglio di sicurezza, la UE, la Lega Araba e tutti quei soggetti sovranazionali il cui impegno di approntare una strategia comune è, quanto meno, doverosa. Con la Siria già alle prese con una guerra civile sanguinosa, un ulteriore conflitto regionale, inquadrato in una situazione di instabilità politica anche degli stati circostanti, rischierebbe di trascinare soggetti apparentemente lontani, come l'Europa, in una situazione di pericolo molto lunga e dannosa. Occorrono al più presto elementi nuovi in grado di contenere la paura israeliana, mentre sul medio termine l'inizio di una moratoria efficace degli ordigni nucleari, da bandire nel maggior numero possibile sui tempi lunghi.
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