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venerdì 15 giugno 2012
Chavez: anello di passaggio della politica estera russa ed iraniana
Quella che si sta profilando è una alleanza tra dittatori certamente da non sottovalutare. Gli incontri tra Chavez, Ahmadinejad e Lukashenko, non possono non mettere in apprensione il mondo occidentale per la creazione di rapporti che si annunciano sempre più stretti. Il punto di partenza riguarda la produzione militare di cui il Venezuela sta diventando un grande compratore. L'acquisto di droni, armi e munizioni rientrano nel piano di Chavez per difendere quella che lui definisce la sua rivoluzione. Il principale fornitore del Venezuela è proprio l'Iran, che estende il suo modello di politica estera contro gli Stati Uniti, anche nel continente sud americano. Ad accomunare Caracas e Teheran vi è una rinnovata retorica anti americana, nel momento storico caratterizzato dalla presidenza Obama, che probabilmente rappresenta il periodo meno indicato per praticare questo tipo di discorsi. Tuttavia non si può non individuare negli USA il nemico principale, contro cui Chavez intende difendersi. Alla coppia iraniano venezuelana si aggiunge Lukashenko, il dittatore della Bielorussia, paese più volte sanzionato dalla comunità internazionale, per la negazione dei diritti civili, ma sostenuto da Mosca. La visita del capo bielorusso a Caracas, rientra in una strategia dove è francamente difficile non intravedere la mano dei russi, che, appunto tramite Lukashenko, offrono l'appoggio a Chavez, che forse non possono dare in maniera più limpida. Quello che si prefigura pare un ritorno al passato delle relazioni internazionali, per Putin il piano, anche presentato come proposta elettorale, di fare diventare di nuovo la Russia una grande potenza, passa per una rinnovata rivalità con gli Stati Uniti, in quello che pare un tentativo di rivalsa per le posizioni perse con la caduta del regime sovietico. Mosca anzichè collaborare con Washington, come pareva avviata a fare negli anni novanta dello scorso secolo, si allontana sempre di più dalle istanze, non solo americane ma anche occidentali. Il caso della Siria è sintomatico, ma anche il dubbio rapporto che coltiva con Teheran, fatto di alti e bassi certo, ma senza che vi sia mai una esplicita condanna della corsa agli armamenti nucleari, non può che fare intravedere un disegno chiaro dell'azione diplomatica del Cremlino, che mette al centro le relazioni con paesi schierati principalmente contro gli USA ed in seconda battuta con l'occidente, più spesso identificato con la UE. La conquista del continente sudamericano, per le sue risorse, è un obiettivo ritenuto praticabile, con molti distinguo relativi ad i diversi paesi, dai nemici degli USA, perchè l'avversione a Washington, malgrado la situazione sia cambiata, ha radici storiche non ceerto ingiustificate. L'azione americana delgi anni settanta ed ottanta, che ha privilegiato le parti più conservatrici del paese, per asservirle agli scopi di Washington, benchè abbandonata da tempo, ha lasciato pesanti strascichi nella popolazione e negli stessi governi in carica. Anche nei paesi più ricchi, come il Brasile, vi è uno smarcamento sempre più forte dall'orbita americana; tuttavia, non sono i paesi più ricchi e nei quali vi è un processo democratico più radicato nella vita sociale ad essere oggetto delle attenzioni dei nemici degli Stati Uniti, ma, piuttosto, stati, come appunto il Venezuela, dove la componente populista è maggioritaria tra la popolazione. Ahmadinejad è bravo a comprendere in quali interstizi può penetrare per portare avanti la sua politica quasi in casa del nemico, assumendo una visibilità ormai preclusa in altre parti del globo. A ciò fa da contraltare la politica estera americana, che pare avere abbandonato alcune zone a causa della troppa concentrazione in altre, come l'Afghanistan, l'Iraq e le zone del Giappone e della Corea del SUd, ritenute strategiche per la vicinanza con la Cina. E' vero che Obama ha professato una politica estera da esercitare sottotraccia, ma estremizzare questo atteggiamento potrebbe portare consensi alle maggiori motivazioni repubblicane in campagna elettorale. Per gli USA è importante non ritirarsi troppo e chiudersi all'interno dei propri confini: gli spazi lasciati possono essere colmati facilmente da altri.
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