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lunedì 11 giugno 2012
La decisione sbagliata di aiutare le banche spagnole
La decisione di cento miliardi di aiuti alle banche spagnole deve imporre una seria riflessione. Intanto sulla facilità con la quale l'aiuto è stato concesso è bene dire che nelle banche spagnole vi sono cospicui investimenti tedeschi, quindi tutta la retorica a favore dell'unità dell'Europa del governo di Berlino è del tutto fuori luogo, perchè la Germania è la prima ad essere interessata a che le banche iberiche non falliscano. Ma, esclusa questa doverosa introduzione, che può offrire ulteriori spunti per sviluppare domande sulla sincerità dell'europeismo di tanti statisti e statiste impegnati in discorsi che paiono costruttivi, la domanda centrale non può che essere se è giusto finanziare gli istituti di credito, in forza del criterio grazie al quale vengono considerati canali privilegiati per ridare impulso alle economie. Si sta parlando di banche indebitate per operazioni sbagliate ed oltretutto spesso non in buona fede, alle quali vengono accordati prestiti a tassi molto agevolati, che utilizzano il denaro ricevuto, oltre che per ripianare i propri debiti, anche lucrando sui tassi di interesse che impongono, per mettere in circolo questi aiuti. Viene così ad instaurarsi un circuito perverso che premia due volte chi ha operato in modo pessimo, portando al dissesto istituti bancari impegnati in attività al di fuori di quelle istituzionalmente previste. Il ragionamento di fondo degli eurocrati è che portare al fallimento le banche può innescare guai ancora peggiori della situazione attuale, ma è giusto fare ricadere sui cittadini, il costo di manovre errate? Non sarebbe più opportuno finanziare il debito degli stati, i quali, a loro volta, dovrebbero impegnarsi in prima persona nella circolazione degli aiuti, saltando così soggetti che si sono dimostrati, per lo meno, incapaci della gestione di capitali? La risposta sarebbe logica se non ci trovassimo, ormai è assodato, in una spirale perversa del rapporto tra banche, governi nazionali ed istituzioni centrali. Le negative esperienze degli ultimi anni, dove le banche non hanno praticamente più fatto il loro lavoro, spingendo sempre più a fondo l'acceleratore del facile guadagno, rivelatosi poi per quello che doveva essere: bolle speculative incapaci di mantenere le promesse fatte, dovrebbe fare radicalmente cambiare l'assetto del credito per vie legali, nel senso che i parlamenti dovrebbero impegnarsi più a fondo per la costruzione di una legislazione che tuteli maggiormente l'investitore ed assieme garantisca una maggiore circolazione del denaro, prevedendo sanzioni pesanti per chi non adempie al proprio mandato. Viceversa ci troviamo in una situazione, dove non solo non vi sono provvedimenti, anche estremi, per chi sbaglia, ma, anzi, si prendono iniziative quasi premianti, che consentono alle banche di sopravvivere in una situazione che sarebbe di fallimento per qualsiasi altra azienda. Senza una nuova legislazione, che riguardi almeno l'intera area euro, che innovi la materia in senso punitivo per chi sceglie gli investimenti facili, non si può pensare di sbloccare una situazione che rischia di protrarsi a lungo nel tempo. Le tasse dei cittadini non possono essere impiegate per salvare banche, ma anche aziende, che hanno dilapidato ingenti patrimoni per rincorrere speculazioni evidenti. Quella che deve essere cambiata è la mentalità della banca come unico canale creditizio, se il sistema bancario di un paese non è affidabile si lascia andare al suo destino e lo stato lo sostituisce, fintanto che il sistema non recupera la sua affidabilità. D'altronde questo provvedimento non sarebbe altro che l'applicazione di una teoria effettivamente liberista, mentre non è liberista chi specula, anche in nome del mercato, e poi accetta gli aiuti di stato. Un provvedimento come quello di questi giorni che impegna ben cento miliardi di euro per salvare un sistema bancario deficitario è soltanto il chiaro segnale di una classe politica che o non vuole trovare alternative o non sa trovarle, in entrambi i casi si tratta dell'ennesimo segno del declino comune.
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