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venerdì 8 giugno 2012
Quale soluzione per la Siria?
La tenace resistenza di Cina e Russia all'interno del Consiglio di sicurezza dell'ONU determina l'impossibilità di un intervento armato in Siria sotto l'egida dell'ONU. Assad è conscio che le due super potenze, per ragioni comuni ma anche differenti, non toglieranno mai il veto ad una azione militare nei confronti di Damasco; del resto le occasioni per autorizzare l'intervento di una forza multinazionale sono state, purtroppo, molteplici. Non è bastata la feroce repressione che è sfociata in una tragica guerra civile, dove si sono verificati diversi massacri, anche di bambini. Eppure niente è servito a fare cambiare idea a Mosca e Pechino, che continuano imperterriti su di una linea che prevede sterili trattative, che hanno il solo effetto di fare guadagnare tempo al dittatore siriano. Il quale, malgrado l'entità delle sanzioni a cui è sottoposto il suo regime, è tutto tranne che isolato. Proprio i contatti con i governi cinese e russo e con quello iraniano, gli consentono ancora di godere di una platea internazionale che gli permette di continuare la feroce repressione in atto. Neppure le minacce dei paesi del Golfo hanno spaventato il presidente siriano, tuttavia è impossibile non chiedersi come sarà l'evoluzione della situazione, non potendo Assad eliminare fisicamente la gran massa di oppositori, tra l'altro destinata a crescere, presente nel paese. Difficile elaborare previsioni, la situazione è troppo caotica per un'analisi che consenta di formulare qualsiasi ipotesi. Occorre però fare alcune considerazioni, basandosi, ad esempio sulla fine del rais libico Gheddafi. Anche in quel caso il mondo si è trovato di fronte ad una carneficina operata per imbrigliare il dissenso, ma le analogie finiscono qui. Gheddafi è rimasto totalmente isolato nella platea internazionale a differenza di Assad, che può giocare sulla sicurezza del veto in sede di Consiglio di sicurezza. Nell'occasione libica sia la Cina che la Russia alla fine si astennero e ciò determinò l'invio di forze armate, essenzialmente aeree ma poi seguite anche da piccoli contingenti di terra, che si rivelarono determinanti per la caduta del regime di Tripoli. Gli insorti godevano già di aiuti materiali provenienti dall'estero, ma senza l'intervento esterno, la capacità militare delle forze armate fedeli a Gheddafi avrebbe avuto la meglio. I ribelli siriani si trovano in una situazione analoga a quella libica prima degli aiuti militari, possono contare su rifornimenti di armi da parte di paesi amici ma ciò non è sufficiente per rovesciare un esercito meglio armato e preparato come quello leale ad Assad. Questo anche se interi reparti hanno disertato e si sono schierati al fianco degli insorti. Quello che fa Assad è una guerra repressiva di forte logoramento, che si basa sia su di un annientamento fisico degli avversari, sia su quello psicologico operando massacri sui civili inermi delle zone dove la ribellione è più forte e radicata. La particolare crudeltà di Assad proviene in parte anche dalla sensazione di impunità derivante dalla sicurezza, che, per lo meno, la Russia non toglierà mai il veto nel Consiglio di sicurezza, ad un intervento militare, perchè ritiene la Siria, questa Siria governata da Assad, particolarmente strategica per i propri interessi (si deve ricordare che l'unica base navale russa nel Mediterraneo è in Siria). Diversi analisti ritengono così, fortemente improbabile una azione militare al di fuori dell'ombrello ONU da parte di altre potenze, come ad esempio la Francia, come minacciato da Hollande appena eletto, minacce a cui, per ora, non ha fatto seguito alcun passo pratico significativo. Inoltre Assad ha un'altra arma in mano, che ha minacciato più volte di usare e cioè fare in modo di allargare il conflitto al Libano, gettando la regione in una pericolosa instabilità. Difficile dire se questa minaccia possa avere un seguito reale, in quel caso Damasco andrebbe al centro di una situazione oltre i propri confini, creando una eventualità da gestire al di fuori del proprio controllo, tenendo conto anche della pericolosa vicinanza degli israeliani, già fortemente allarmati per la questione iraniana. In ogni caso per i ribelli l'unica possibilità è continuare la propria guerra contando solamente sugli aiuti in armi e materiale provenienti dall'estero. Si tratta di resistere e temporeggiare per un tempo praticamente non quantificabile, ne prevedibile, ed in attesa dell'insorgenza di una eventualità che intervenga a modificare in qualche modo la situazione presente. Se è impossibile, come abbiamo visto, contare su di una variazione dell'atteggiamento russo, per la Cina la questione potrebbe essere differente, non a caso è una delle nazioni che si è spesa di più nel tentativo di risolvere la situazione attraverso le trattative diplomatiche. Inoltre il veto cinese è motivato dalla dottrina internazionale che Pechino si è data e che vieta l'ingerenza negli affari interni degli altri stati. E' però pur vero che il no cinese ad un intervento militare ha anche motivi di ordine diplomatico nei confronti degli Stati Uniti e dell'Europa, di cui non vuole apparire succube. Tuttavia un ammorbidimento, anche non ufficiale, nei confronti delle ragioni dei ribelli, comprendendo la necessità anche di apparire non complice sul piano internazionale, di chi è l'autore di veri e propri massacri, potrebbe costituire quella novità in grado di non fare pendere più la bilancia a favore di Assad. Se si vuole convincere la Cina a cambiare atteggiamento occorre renderla protagonista del proprio cambio di indirizzo senza forzare la mano, ma il tempo per un cambiamento di rotta pare sempre più urgente.
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