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martedì 12 giugno 2012
L'inutile lamentazione di Obama
Nei giorni scorsi Obama ha chiesto all'Europa di cambiare rotta, spostandosi dal rigore a provvedimenti che possano facilitare la crescita, sopratutto per non penalizzare ulteriormente i prodotti statunitensi, che stentano nelle vendite in quello che è comunque, malgrado tutto, il mercato ancora più pregiato del mondo. La richiesta, ancorchè condivisibile, muove però da più di un vizio di fondo, infatti, fatte salve le grandi responsabilità dei governi nazionali e delle istituzioni centrali europee è un fatto che la bolla immobiliare americana ha avuto una grande parte di responsabilità nello scatenare la crisi attuale, che le società di rating continuino ad esprimere giudizi pericolosi che influenzano i mercati in maniera abnorme, nonostante siano state responsabili di più di una valutazione errata che ha prodotto conseguenza nefaste, che la finanza USA, come quella inglese, sia ancora una macchina senza controllo adeguato le cui conseguenze di operazioni perlomeno avventate si riverberano inevitabilmente nella zona euro. Obama è probabilmente il migliore presidente possibile in un paese come gli Stati Uniti, viziato da anni di liberismo eccessivo, ma la sua azione, al comando della nazione più importante del mondo, quella che con il suo comportamento può influenzare gran parte degli altri stati, se inquadrata in una visuale più vasta, non è stata sufficiente. Chi sperava nella presidenza Obama per una radicale trasformazione degli assetti finanziari ed economici del pianeta, non ha potuto che subire una cocente delusione. Limitato da una congiuntura effettivamente troppo negativa e da una coabitazione con una maggioranza diversa dal suo partito nel potee legislativo, il Presidente americano ha esercitato un potere riformista timido e talvolta appiattito su necessità elettorli contingenti, che ne hanno frenato quasi da subito la ventata innovatrice. Significativo è stato il rapporto con i gruppi di Occupy Wall Street, praticamente ignorati, seppure fossero portatori di reali sentimenti presenti in una platea più vasta e che richiedevano, in modo non violento, quella riforma del sistema finanziario, individuata come necessaria per frenare la crisi e ristabilire su parti più egualitarie la redistribuzione del reddito mediante anche una tassazione profondamente rivista. Il mancato incontro con questi di gruppi spontanei, capaci di una protesta intelligente, troppo spesso soffocata in maniera anche violenta dalle forze dell'ordine, e quindi anche, in ultima analisi, da Obama stesso, rappresenta un segnale chiaro di come l'inquilino della Casa Bianca non abbia saputo cogliere quell'opportunità per tramutare in provvedimenti legali un sentimento comune, molto vasto nella nazione americana. Se tale protesta poteva dirsi partita dalla sinistra americana, a livello di idea era stata fatta propria anche da parti del partito conservatore, consci della necessità di una doverosa ristrutturazione del sistema finanziario statunitense. Occorre dire che se Obama non ha praticamente accolto questa esigenza in casa democratica, nei conservatori è stata del tutto ignorata, come hanno bene evidenziato i temi maggiormente trattati nella campagna elettorale per eleggere lo sfidante nelle prossime presidenziali. Nei repubblicani si è preferito puntare su temi come l'aborto e la supremazia americana, che fanno sempre una grande presa sul proprio elettorato, ma si è tralasciato di proposito di portare in prima linea i temi economici, lasciando inatatta la dottrina del partito, improntata al liberismo, ma senza urlarlo troppo. Insomma dagli Stati Uniti, in entrambi i maggiori partiti si è avuto un atteggiamento di contrita sottomissione alle ragioni della finanza. Ma ciò non autorizza, specialmente chi ricopre la massima autorità USA ha fare prediche, che paiono soltanto fuori luogo. Gli USA sono la massima potenza finanziaria del mondo, ogni movimento, positivo o negativo, comporta inevitabilmente delle ricadute sul resto dei mercati. Se si appura la necessità di una regolazione del sistema finanziario americano e poi questo non avviene la colpa non è certo dell'Europa, che anche per questo motivo non può più permettersi i prodotti americani.
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