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venerdì 6 luglio 2012
Cuba verso il modello cinese
Per uscire dalla gave crisi economica, che sta condizionando materialmente la vita del paese, il presidente cubano Raul Castro ha iniziato una visita in Cina, per capire la trasformazione della nazione in colosso economico, mantenendo un ordinamento nominalmente comunista. Il motivo ufficiale della visita è costituito dalla firma di accordi commerciali tra l'Avana e Pechino, tesi a rilanciare l'economia cubana. La Cina, dopo il Venezuela rappresenta il secondo partner commerciale di Cuba, ed intende intensificare i rapporti, anche per la posizione strategica di Cuba e per il basso costo del lavoro. Significativa a questo proposito l'apertura di linee di credito capaci di creare investimenti infrastrutturali capaci di richiamare la presenza di imprese straniere. Per l'Avana è importante anche rompere l'embargo internazionale provocato dal blocco imposto dagli USA, che ha di fatto affossato la già gracile economia cubana. Tuttavia, aldilà dell'importanza degli accordi commerciali e delle basi gettate per creare i presupposti per una industrializzazione del paese, il rilievo più importante della visita a Pechino del presidente cubano è costituito dalla volontà di comprendere il modello cinese per applicarlo nel proprio paese. La trasformazione in economia di mercato, pur nella rigidità di un sistema politico tutt'altro che democratico, tanto da non prevedere la pluralità dei partiti ed anche il mancato riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, della Cina pare una strada adeguata ai dirigenti de l'Avana da seguire per l'evoluzione del paese cubano, ormai consapevole di dovere dare una svolta ad una struttura produttiva insufficiente per uscire dalla miseria in cui è sprofondato il paese. Il punto di partenza è stato probabilmente individuato nella fase che la Cina ha attraversato negli anni 80 e 90 del secolo scorso, quando ha avviato una privatizzazione graduale di vecchie industrie statali in un contesto protetto da fenomeni inflattivi giunto alla garanzia di un mercato stabile, anche per il ferreo controllo del partito unico al potere, che ha potuto impedire i problemi tipici presenti in una forma di governo democratica, quale rivendicazioni sindacali o di altri gruppi di pressione. Il basso costo del lavoro, analogia che Cuba può garantire da subito, è stato il volano iniziale dello sviluppo cinese, sopratutto mantenuto e garantito per le imprese dalla rigidità dei salari non gravati da forme di contrattazione e quindi imposti dall'alto. Un doppio ossimoro sia per il comunismo, a cui si rifaceva e si rifa il regime cinese, che per lo stesso capitalismo che aveva trovato in Cina il terreno maggiormente favorevole nel corso della storia. In sostanza la Cina si è sviluppata in un capitalismo senza controllo proprio grazie ad una politica che non ammetteva dissenso. Ciò ha permesso, pur in assenza di diritti democratici l'uscita dalla povertà di una grande massa di persone, ma ha anche creato profonde differenze sociali, capaci creare forti tensioni in una società in grande evoluzione. La situazione di Cuba attuale presenta numerose analogie con la situazione di partenza della Cina verso lo sviluppo, un partito unico capace di un controllo capillare sulla società del paese ed in grado di imporre soluzioni anche pesanti dal punto di vista lavorativo, un tessuto sociale sull'orlo della miseria, che può garantire una mano d'opera a basso costo ma insieme desideroso di affacciarsi al consumo generalizzato e così capace di alimentare anche un mercato interno, che può essere rilanciato proprio grazie all'ingresso di soggetti stranieri, invogliati da una situazione garantita dall'assenza di forme di opposizione e quindi dalla certezza di avere di fronte un interlocutore unico per le trattative. Se per Cuba la strada verso questo modello sembra così avviata, occorre rilevare la pericolosità della diffusione nel mondo del sistema cinese in quel mondo che si definiva comunista, come succede anche in Vietnam, che infatti sarà la prossima tappa della visita di Raul Castro. E' un tipo di sviluppo che si concreta in assenza totale di regole e tutele per i lavoratori, spesso sottoposti sia ad orari massacranti che esposti ad ogni tipo di rischio per la propria salute. Certo all'inizio garantisce una via d'uscita dalla miseria, ma questo non può giustificare i soprusi e gli abusi subiti per riscuotere un misero salario. L'occidente dovrebbe fare maggiore pressione affinchè la tutela di questi lavoratori compia una sostanziale evoluzione, non solo per considerazioni morali, ma anche economiche: il minor costo del lavoro e le minori garanzie costituiscono una forma di concorrenza sleale che impoverisce il tessuto industriale dei paesi più ricchi, che sono già stati colpiti da delocalizzazioni selvagge e che hanno impoverito il tessuto sociale. Avviare un dibattito nelle sede internazionali per elaborare forme minime di tutela universale per i lavoratori è ormai diventato improcrastinabile.
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