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lunedì 23 luglio 2012
La crisi: occasione per cancellare i diritti
Le implicazioni della grande crisi economica che attraversa i paesi del sud europa ha imposto misure draconiane che hanno avuto l'immediato effetto di abbassare la qualità della vita delle popolazioni di questi paesi. La congiuntura particolarmente negativa è frutto di un concorso di cause, che riguardano in special modo, l'uso distorto dello strumento finanziario, con le banche principali indiziate del dissesto, e gli elevati debiti sovrani degli stati, frutto di imperizia e cattiva amministrazione continuata negli anni. Se non si può essere che d'accordo con la necessità di un aggiustamento dei conti, con il fine di favorire gli investimenti sulla parte sana dell'economia, in modo di stimolare una crescita invocata da più parti, quello che desta dubbi consistenti è la scelta degli strumenti per mettere riparo al dissesto economico. Anzichè puntare sui grandi patrimoni, con l'introduzione di patrimoniali che permettessero di alleggerire la tassazione del lavoro ed introdurre forme di tassazione sulle transazioni finanziarie, come la Tobin tax, in quest'ultimo caso con il doppio scopo di tassare dei guadagni ottenuti sempre al netto e di introdurre una forma sanzionatoria per il mondo finanziario, responsabile di gran parte dell'attuale situazione, si è preferito fare gravare il peso delle manovre economiche sulla maggior parte dei salariati introducendo nuove imposte ed aggravando quelle già esistenti, associandole ad un drastico taglio dei servizi, che va, quindi, ulteriormente a colpire lo stesso ceto sociale oggetto della maggiore tassazione. La percezione che lasciano queste manovre è di un intento punitivo, dietro il quale potrebbe leggersi una strategia più complessa della revisione totale dei diritti acquisiti in campo lavorativo e sociale per la parte numericamente più consistente della società nel suo complesso. L'esempio greco risulta essere illuminante se letto con questa logica: riduzione drastica degli stipendi, senza contrattazione sindacale, tagli al sistema sociale in settori particolarmente delicati come l'assistenza e la sanità e conseguente impoverimento, per decreto, della popolazione. Anche in Spagna ed in Italia, sebbene in forme più attenuate, ma sempre dure, rispetto al paese ellenico, si sono o si stanno attuando gravi tagli imposti esclusivamente dall'alto, eliminando percorsi di scelta condivisa. Quello che viene messo in piedi è un sistema di governo imposto dall'economia e non dalla politica, dove spesso chi detta queste regole proviene dagli stessi ambienti che hanno provocato il disastro. E' la stessa logica che attribuisce importanza ai giudizi degli istituti di rating, che giudicavano positivamente titoli che hanno contribuito a determinare la crisi economica. Il pagamento delle tasse serve a fornire servizi, non per ripianare debiti contratti da soggetti privati. Il caso delle banche spagnole è il chiaro esempio di come fare ricadere sulla collettività il costo di scelte sbagliate compiute da istituti privati, che dovrebbero fallire come qualunque altra azienda non più produttiva. Questa violazione del patto sociale tra stato e cittadini può costituire un pericoloso precedente, come quello della cancellazione arbitraria di alcuni diritti giustificata dalla necessità di porre rimedio allo stato di crisi. La creazione, quindi, di questi precedenti sovverte la logica dei rapporti tra lo stato e di alcuni suoi componenti, più deboli nelle trattative ancorchè numericamente maggiori, perchè adotta, facendole scendere dall'alto, scelte che variano la modalità del dialogo con le istituzioni finora vigente. Non è un caso che uno degli effetti rilevati da subito è stato l'aumento della diseguaglianza sociale, materializzatosi con l'aumento del divario tra i pochi ricchi, che spesso detengono percentuali altissime della ricchezza complessiva del paese, e la gran parte dei cittadini, che vedono ridursi drasticamente il reddito a loro disposizione. Questi segnali fanno sospettare che la presenza della crisi economica sia usata in modo strumentale per rivedere l'intero complesso del sistema dei diritti, specialmente quelli inerenti al lavoro, per promuovere una radicale revisione a favore di settori economici particolarmente attivi in questa dinamica. Questi aspetti sono favoriti in Europa dal vuoto della politica in ambito comunitario, infatti anzichè procedere da una unione politica, da cui fare discendere quella economica, si sta procedendo in senso inverso, con il settore economico, che riempiendo l'assenza della politica, ne ricopre anche le funzioni. Ma l'ottica dell'economia non è la stessa della politica e quello che privilegia è ben diverso da chi avrebbe o dovrebbe avere una visione più complessiva tale da salvaguardare diritti faticosamente conquistati.
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